domenica 30 ottobre 2016

FORLI’ (parte sesta)

Durante il Rinascimento, la città vantò molteplici intrecci con la storia nazionale italiana: sua signora fu Caterina Sforza, che, vedova di Girolamo Riario (nipote di Papa Sisto IV), sposò, nel 1497, Giovanni de' Medici (detto "il Popolano"), matrimonio dal quale nacque, l'anno successivo, Ludovico (poi Giovanni) detto Giovanni dalle Bande Nere, il famoso capitano di ventura, padre di quel Cosimo I de' Medici che sarà il primo Granduca di Toscana. Caterina, nonostante un'eroica resistenza nella rocca di Ravaldino, in Forlì, fu sconfitta da Cesare Borgia nel piano di espansione dei possedimenti papali in Romagna.
Dopo un effimero tentativo di ritorno degli Ordelaffi, il Papa Giulio II, di passaggio a Forlì nel 1506, riuscì ad imporre, almeno provvisoriamente, la pace tra i guelfi e i ghibellini.
Il 5 aprile 1504 Forlì si sottomise legato pontificio Giovanni Sacchi, vescovo di Ragusa, dopo un breve tentativo, fallito, di Lodovico Ordelaffi di riprendere il potere e il 25 giugno dello stesso anno Giulio II emanò 2 bolle, una per liberare la città ad ogni vincolo di fedeltà nei confronti dei precedenti signori, e l'altra per definire le condizioni di sudditanza al governo della Chiesa. Nei primi anni del Cinquecento la Santa sede si limitò ad affermare la propria supremazia esigendo un censo annuo di 1000 fiorini, riservandosi la facoltà di imporre nuovi tributi e sottoponendo il reggimento di Forlì al controllo del governatore. La comunità perse dunque l'autonomia politica ma mantiene il diritto di disporre delle proprie entrate. Nonostante Forlì fosse ritornata a dipendere direttamente dalla Santa sede, in realtà i primi quarant'anni del Cinquecento furono caratterizzati da un'estrema instabilità politica provocata dalle lotte di parte. Le due bolle papali emanate avrebbero dovuto estendere a tutti i membri dei maggiori Casati l'accesso agli organi istituzionali del governo locale questo tuttavia non evitò che si riorganizzassero subito le fazioni dei ghibellini Numai e dei guelfi Morattini i quali, dopo la scacciata degli Ordelaffi, ambivano al governo della città. Nanni Morattini, che con la sua parte aveva favorito la sottomissione della città alla chiesa, pretendeva di avere la supremazia sulle altre famiglie forlivesi e iniziò a contrastare il potere delegato Sacchi, cacciando dalla città le truppe papali comandate da Giovanni Sassatelli. Giulio 2º reagì facendo arrestare un Morattini inviato a Roma come ambasciatore ed esiliando Nanni Morattini per due mesi a Cesena.
I Numai si ribellarono all'egemonia degli avversari costituendosi nel 1505 in fraternita con un atto pubblico, dominando la città dopo aver fatto bandire la fazione dei Morattini dal governatore. La reciproca lealtà tra gli aderenti alle parti venne giurata sul Vangelo alla presenza dei sacerdoti e notai.
I Morattini riuscirono a rientrare a Forlì nel 1506, grazie alla crisi provocata dalla fazione dei Numai da una faida interna tra i Berti ed i Marcobelli. Queste 2 famiglie si contrapponevano cercando entrambe di conquistare l'egemonia nel proprio schieramento alleandosi rispettivamente agli ghibellini e ha i guelfi della Valle del Lamone, in territorio faentino. La faida rovesciò gli equilibri delle forze che si contendevano il controllo della città. Giacomo berti, di per sé entrambi i figli per vendetta dell'uccisione di Berardo Marcobelli, si unì ai Morattini, favorendo il loro ritorno nel giugno del 1506. I Numai dovettero andare in esilio fino al 14 ottobre, quando Giulio II ratificò la pace giurata solennemente tra le due parti già nel marzo del 1507, tuttavia, dopo l'uccisione di Tommaso Numai, i ghibellini temettero di nuovo di essere schiacciati dagli avversari e cercarono scampo fuggendo da Forlì. I fuorusciti, appoggiati da fiorentini e veneziani, in lotta contro il papa, tentarono ripetutamente, senza successo, di assalire la città, finché nel dicembre 1508 il legato impose il loro rientro è una nuova pace giurata fra le fazioni.

Gli scontri tra guelfi e ghibellini ripresero nell'aprile del 1512, dopo la vittoria delle truppe francesi a Ravenna contro gli spagnoli, alleati di Giulio 2º. Alla notizia del terribile saccheggio delle città a seguito di questa battaglia, anche Forlì si spopolò e la gente cercò rifugio sui monti, soprattutto nei castelli di Dovadola e Castrocaro, in territorio fiorentino. I Numai per ostacolare il ritorno dei Morattini, si schierarono con i francesi e assistettero senza opporsi alla devastazione della città. Il 7 maggio, mentre le truppe si allontanavano, si scatenò il furore dei contadini che le affrontarono in battaglia infliggendo loro gravi perdite.
I Morattini rientrarono Forlì, devastarono le case dei ghibellini ed espulsero i Numai. In settembre questi fece un'incursione per vendicarsi dei guelfi e riuscirono a penetrare in città il 26 dicembre in Duomo, durante il vespro, la famiglia Ettori, alleati dei Morattini, uccise alcuni ghibellini. L'intervento diretto nelle lotte di parte di Giovanni Ruffo Teodoli, arcivescovo di Cosenza e parenti delle vittime dell'agguato, provocò l'esilio degli Ettori. L'arcivescovo fece distruggere il loro palazzo, e riuscì a far condannare dal legato pontificio 2 esponenti della famiglia Martinini: Sebastiano e Girolamo. Il primo fu decapitato nel febbraio 1513, mentre 2º fu rilasciato dopo una lunga detenzione.
Con la morte di Giulio II, le lotte di parte si riacutizzano in tutta la Romagna, manifestandosi con violenze e rappresaglie continua, aggravando le difficoltà del governo centrale che non usciva controllare gli equilibri di potere e a consolidare il proprio dominio nella regione. Le famiglie guelfi è ghibellini si aggregarono e si scontrarono nelle città e nei centri minori del contado. I conflitti limitati e locali si estesero fino a coinvolgere in una rete di solidarietà e opposizioni la maggior parte delle comunità.
Attorno alla frazione guelfa si concentrò la nobiltà di origine feudale che avanzava pretese di autonomia dal pontefice nei propri piccoli Stati, in gran parte disseminati sull'Appennino e che si legò politicamente, nei primi decenni del Cinquecento ha i francesi e agli Estensi il ghibellini erano spesso rappresentati da membri delle oligarchie cittadine. Non sempre però queste differenze sono distinguibili con chiarezza, così come non lo sono le motivazioni degli interventi pontifici a favore di un reparto dell'altra. Infatti i rappresentanti del Papa erano spesso coinvolti personalmente nelle lotte tra gli schieramenti di famiglie e giocavano la propria influenza per far prevalere una fazione sull'altra nella comunità. Forlì ha risentito molto di questa instabilità che si è protratta per buona parte del cinquecento a causa degli scontri particolarmente violenti.
I ripetuti tentativi del governo papale di evitare i conflitti a Forlì allargando il numero dei membri del consiglio maggiore furono inutili perché molte famiglie rimasero escluse e quindi continuò l'alternarsi delle rappresaglie, inasprite anche vari contraddittori atteggiamenti di legati e presidenti, sensibili alle pressioni di personaggi influenti come l'arcivescovo ghibellino Teodoli. Le Paci che furono stipulate solennemente nel luglio nel settembre del 1513 fra i due parentadi erano già infrante l'anno seguente
Tornata sotto il dominio papale, Forlì costituì il centro della Romagna pontificia. Il governo papale garantì alla città e ai suoi abitanti un periodo di tranquilla vita civile. A questo proposito, Adamo Pasini scrive: "Qualunque sia il giudizio che si vuol dare del governo che in quel secolo venne a consolidarsi, sta di fatto che il cinquecento segna il sorgere della nostra aristocrazia, della nostra edilizia, della nostra letteratura. Dire che sono morti per la storia i tre secoli XVI, XVII e XVIII, per dedicare dei volumi ai secoli XIII - XIV - XV, significa dare troppa importanza alla guerra civile e poca o nessuna importanza all'economia, allo studio, al lavoro
A riprova di quanto dice Pasini, nel 1522 nacque a Forlì un apposito Collegio che laureava alla carica di notaio. Nel 1574, invece, venne fondata, o forse rifondata, la prestigiosa Accademia dei Filergiti, attivo centro di promozione degli studi[10].
Nel 1630, la città sfuggì alla peste, che pure aveva devastato il resto d'Italia e la Romagna. La popolazione ne attribuì il merito ad un intervento miracoloso della Madonna del Fuoco, in onore della quale venne innalzata una colonna celebrativa nel Campo dell'Abate (oggi Piazza Saffi).
Pur tra varie vicissitudini, come il saccheggio operato dagli austriaci nel 1708, la situazione rimase sostanzialmente immutata in pratica fino all'Unità d'Italia, eccetto che per un breve periodo di indipendenza politica dalla Chiesa attorno al 1797, quando divenne capoluogo del dipartimento del Rubicone nella nuova divisione amministrativa dettata dalle truppe di Napoleone al seguace Regno d'Italia. Tra le leggi imposte dal nuovo codice civile napoleonico c'era la possibilità di divorzio e un cittadino di Forlì ne fece richiesta (prima causa di divorzio a oltre 150 anni dalla legge attuale). Inoltre, i funzionari napoleonici si occuparono di indagare gli usi e costumi delle popolazioni sottomesse, producendo una notevole mole di dati sulle tradizioni popolari di questa parte di Romagna. Un forlivese riuscì a recuperare parte di quelle indagini (per la verità in gran parte provenienti da Sarsina, ma in uso anche a Forlì) e ne pubblicò un testo che è uno dei primi lavori sulle tradizioni romagnole, poi seguito dall'opera del Pergoli verso la fine dell'Ottocento, che si occupò della raccolta di canti anche a Forlì e a San Martino in strada (frazione di Forlì).
Dal punto di vista culturale, prosegue nel XVI secolo la scuola forlivese di pittura, con autori come Francesco Menzocchi e Livio Agresti, ma anche con i loro epigoni dei secoli successivi.
Alla fine del secolo la città cadde di nuovo in mani straniere: nel giugno del 1796 venne conquistata dalle truppe napoleoniche. Napoleone stesso vi fece un trionfale ingresso il 4 febbraio 1797, scelta non casuale poiché era la festa della Madonna del Fuoco, patrona cittadina. Data la sua posizione geografica al centro della Romagna, Forlì fu scelta come capoluogo del Dipartimento del Rubicone, nella nuova circoscrizione amministrativa dell'effimero Regno d'Italia napoleonico.
Tra le leggi imposte dal nuovo codice civile napoleonico vi fu quella istitutiva del divorzio. Un cittadino di Forlì ne fece richiesta: fu la prima causa di divorzio in Romagna, oltre 150 anni prima della legge del 1970.
I funzionari napoleonici si occuparono di indagare gli usi e costumi delle popolazioni sottomesse, producendo una notevole mole di dati sulle tradizioni popolari di questa parte di Romagna. Il forlivese Michele Placucci riuscì a recuperare parte di quelle indagini (per la verità in gran parte provenienti da Sarsina, ma in uso anche a Forlì) e ne pubblicò un testo che è uno dei primi lavori sulle tradizioni romagnole: Usj e pregiudizj de' contadini della Romagna (1818)[11].
Subito dopo la Restaurazione, sorge per la prima volta il problema su quale città, tra Forlì e Ravenna, meriti il titolo di capoluogo della Legazione di Romagna. Deve prevalere la centralità geografica e l'importanza acquisita nella storia medievale e moderna della città di San Mercuriale oppure la gloriosa storia della città bizantina?
Ne nasce una dura polemica che il Pontefice risolve, nel 1816, con una mediazione: nascono sia la Legazione apostolica di Forlì sia quella di Ravenna.
Il 1831 è l'"anno dell'anarchia" per Forlì. Pochi mesi dopo che gli austriaci ebbero lasciato la città, i rivoluzionari ripresero vigore. Da Roma fu inviato un esercito di cinquemila soldati per sedare la rivolta. Il 21 gennaio 1832 la rivolta viene repressa nel sangue: 21 morti rimangono sul terreno. Il cardinal legato Giuseppe Albani chiama le truppe austriache, di stanza a Ferrara per ristabilire l'ordine.
Nel 1848, i circoli popolari e patriottici della Romagna, riuniti a Forlì, approvarono il Programma formulato dall'Assemblea dei circoli adunata in seduta generale in Forlì, steso da Aurelio Saffi, chiedendo al Papa la costituzione.
Nella seconda metà del XIX secolo, Forlì è il maggior centro urbano della Romagna ed è nota come "e' zitadòn" (il cittadone), la cui prosperità deriva in larga parte dall'agricoltura - molto diffuso il tipico contratto di mezzadria - e dal commercio del sale (tramite la via diretta verso Cervia e le sue saline[12]), nonché dal suo posizionamento sulla strategica via Emilia, a metà strada fra Bologna ed il mare Adriatico.
Sorgono, in questo secolo, anche diverse industrie, molte delle quali avranno in seguito grande prestigio: la fabbrica di biliardi (1830); la birreria di Gaetano Pasqui (1835), imprenditore noto anche per essere stato il primo a coltivare luppolo in Italia; le fornaci, che rinnovano l'antica tradizione forlivese della produzione di laterizi; la Becchi, per la realizzazione di stufe in cotto divenute poi celebri, fondata ufficialmente nel 1858, anche se la produzione è già iniziata nel 1850; la Società Anonima Bonavita per la produzione del feltro, nel suo genere unica in Italia; le Officine Forlanini, le quali, ancora negli anni venti del Novecento sono, tra Bologna ed Ancona, l'unico stabilimento metallurgico di una certa importanza[13].
Non mancano personalità di spicco durante il Risorgimento: Aurelio Saffi, repubblicano mazziniano; Piero Maroncelli, amico di Silvio Pellico e imprigionato anch'egli per il suo ideale di un'Italia unita e libera da dominazioni straniere o religiose; i garibaldini Antonio Fratti, Tito Pasqui e Achille Cantoni, quest'ultimo preso da Garibaldi come protagonista del proprio romanzo storico Cantoni, il volontario.
È da ricordare, durante la Repubblica Romana del 1849, l'iniziativa dei banchetti patriottici, che si tengono, a suo sostegno, a Forlì, ed è l'unico caso in tutta l'Italia: si tratta di pubblici banchetti patriottici, che vedono una massiccia partecipazione di pubblico pagante, segno del fervore politico dei forlivesi[14].
Nel 1852, viene fondata la polizia municipale, col nome di "Corpo delle Guardie Municipali".
La città piange i suoi martiri della Grande Guerra, ma è con l'ascesa del Fascismo e la seconda guerra mondiale che Forlì torna a far parlare di sé. A 15 km dalla città, a Predappio, nasce Benito Mussolini: quando egli diviene prima presidente del consiglio, poi duce, inevitabilmente Forlì gode di una certa fama di ritorno, cominciando a essere presentata nella propaganda ufficiale come "la città del Duce"[15]. Questo ha, purtroppo, comportato conseguenze negative negli anni del dopoguerra, quando si poté assistere, a mo' di contrappasso, a quella che uno storico ha definita un'implicita conventio ad tacendum: tutte le volte che non fosse proprio inevitabile citarla, Forlì non doveva essere nemmeno menzionata. Solamente con gli inizi del nuovo secolo, il XXI, il presupposto per cui parlare di Forlì sarebbe sintomo di nostalgie fasciste sta cominciando a cadere.
Durante il regime, comunque, Forlì si sviluppa oltre il suo ambito territoriale ed economico tradizionale: le porte e le mura antiche sono buttate giù per lasciar spazio ai nuovi viali delle circonvallazioni e permettere la costruzione di nuovi quartieri all'esterno del pur ampio centro storico; gli architetti del regime si sbizzarrirono nel progettare nuovi edifici e agglomerati corrispondenti al gusto del momento (nuova stazione ferroviaria, nuovo palazzo delle Poste e degli uffici statali nella centrale piazza Saffi, viale Benito Mussolini - ora viale della Libertà); crescono le industrie locali (Forlanini, Mangelli); nel 1936 viene inaugurato l'aeroporto "L. Ridolfi". La popolazione tuttavia è in maggioranza di simpatie repubblicane, socialiste o comuniste: negli anni della guerra anche molti Forlivesi partecipano a bande partigiane: sull'appennino era stabilita l'8ª brigata Garibaldi; famosa la banda di Silvio Corbari e Iris Versari: catturati e fucilati insieme ai fratelli Spazzoli, i cui corpi rimasero esposti, come monito, appesi ai lampioni di piazza Saffi. La città pagò il suo conto di vite umane alla guerra, sopportando inoltre la perdita di inestimabili tesori artistici, come la chiesa di San Biagio o il teatro comunale; anche la Torre civica fu bombardata, per poi venire ricostruita in seguito. Il campanile della Basilica di San Mercuriale venne invece risparmiato, nonostante le mine già predisposte alla base, dai tedeschi in ritirata, alcuni pensano su precisa richiesta del Duce stesso, ma certamente anche per la vigorosa opera del parroco dell'epoca, che tutti i Forlivesi ricordano affettuosamente come don Pippo.
Tra i momenti tragici della guerra, va anche ricordato l'eccidio di Forlì, nel quale, presso l'aeroporto cittadino, furono uccise 42 persone, nel settembre del 1944.

Forlì venne liberata relativamente presto, rispetto alle altre zone del Nord Italia: il 9 novembre 1944 dopo una accanita battaglia per il valore simbolico che Forlì aveva in quanto "città del Duce", tanto che Hitler aveva ordinato di non cederla facilmente, le truppe alleate britanniche ed indiane entravano in città, con l'appoggio delle brigate partigiane[16]. Ancora oggi è presente e visitabile, quasi di fronte al Cimitero Monumentale, il ben curato Cimitero degli Indiani, a ricordo di quanti di loro persero la vita in questa occasione.
Ad un mese dalla liberazione, il 10 dicembre del 1944, Forlì fu sconvolta da un bombardamento dell'aviazione tedesca, che sperimentava per la prima volta l'effetto su un centro abitato di un nuovo tipo di bomba, la Grossladungsbombe SB 1000, con sviluppo esplosivo orizzontale anziché a "a imbuto" (e con la relativa mancanza del cratere)[17].
Primo sindaco della Forlì liberata fu Franco Agosto, cui oggi è dedicato il Parco Urbano, polmone verde urbano sull'ansa che il fiume Montone forma nei pressi di Porta Ravaldino. Per il coraggio dimostrato dalla popolazione, il Comune è stato decorato con la medaglia d'argento al valore militare.
Nel dopoguerra la città si è stabilizzata nelle sue attività tradizionali legate al settore agricolo e artigianale, sviluppando una dinamica realtà di piccole imprese artigianali o cooperative. Le sfide attuali che affronta la comunità sono due: l'immigrazione dall'estero, fenomeno del tutto sconosciuto, come in molte parti d'Italia, fino a non molti anni fa, e la creazione del Polo di Forlì, parte dell'Università di Bologna, che ospita varie facoltà (scienze politiche, economia, ingegneria, scuola per interpreti e traduttori), in continua espansione.
Nel 1946, alle prime elezioni politiche e amministrative tenutesi dopo il ventennio fascista, Forlì, come molte altre città della Romagna, vede uscire dalle urne un risultato che assegna al PCI la maggioranza relativa col 34,2 % e conferma la forza del PRI con il 32,5 %.
Rimangono sul 10% i socialisti e sul 15% i democristiani ben lontani dai risultati nazionali.
La lista PCI-PSIUP ha la maggioranza relativa in consiglio comunale ma all'inizio la maggioranza è formata da tutti i partiti dell'arco costituzionale, poi, nel 1948 la DC, il PRI e i partiti di centro usciranno dalla giunta. In questo periodo è sindaco Franco Agosto (PCI) sotto cui si compie gran parte della ricostruzione dopo i danni della guerra e il cui nome è ancora ricordato con molto rispetto a Forlì per le buone capacità di amministratore dimostrate.
La maggioranza socialcomunista però non ottiene dei risultati molto lusinghieri alle politiche del 1948 (43,3 % al fronte popolare contro il 47 % del 1946) e la campagna elettorale per le amministrative del 1951 si svolge con la certezza della sconfitta della maggioranza.
Infatti così avviene: il PRI e i suoi alleati arrivano al 51,2 % (ottenendo il 65% dei seggi grazie al premio di maggioranza che prevedeva la legge elettorale in vigore) mentre la sinistra si ferma al 44,2 %.
Si forma allora una giunta di centro con sindaci repubblicani, dal 1951 al 1952 Mario Colletto poi fino al 1956 Franco Simoncini ed infine Icilio Missiroli, che porta a termine la ricostruzione e amministra il boom economico che investe anche Forlì alla fine degli anni cinquanta.
Però negli anni, tornando al sistema elettorale proporzionale senza premio di maggioranza, la presenza dell'opposizione nei banchi del consiglio comunale diventa sempre più consistente e la maggioranza si assottiglia tanto che alle amministrative del 1960 il PRI con 10 seggi, la dc con 8 e i socialdemocratici con 1 non hanno la forza necessaria per raggiungere i 21 seggi necessari per re il controllo del consiglio comunale. Missiroli, dopo aver tentato un allargamento a destra, risolve la situazione varando la prima giunta di centro sinistra includendo il PSI che con 4 consiglieri permette la creazione di una stabile maggioranza.

Questa ridefinizione della maggioranza però è solo un palliativo per la giunta Missiroli, infatti il PCI avanza ancora e alle politiche del 1963 giunge al 39% e alle amministrative seguenti arriva a 17 consiglieri (su 40) con il 40,1% dei suffragi.
Così alla votazione sul bilancio del 1965, a causa del voto contrario del PCI, del MSI e della destra liberale, la maggioranza si disintegra e si va a nuove elezioni. Queste vedono un'ulteriore avanzata del PCI che avrebbe i seggi per formare una maggioranza col Psi, ma questi rifiutarono, costringendo così il governo a nominare un commissario prefettizio.
Così iniziano i 4 anni di commissariamento ricordati ancora oggi come un'epoca di stagnazione durante la quale l'assenza di un governo impedì che si dessero per un lustro risposte valide alle aspettative e alle esigenze di una città in forte crescita sociale ed economica, ma ancora in molte zone di periferia arretrata e contadina, come era Forlì in quegli anni.
Durante i 4 anni si votò per 3 volte senza modificare lo stallo a causa dell'assenza di una maggioranza alternativa a quella PCI-PSI che però non si riusciva a formare per il rifiuto dei socialisti.
Poi nel 1970 i socialisti ruppero gli indugi e accettarono un patto di alleanza col PCI e il PSIUP che permise alla sinistra di vincere le elezioni del 7-8 giugno (PCI al 42,2%, PSI al 5,7%, PSIUP al 2,8% mentre la DC era al 18% e i repubblicani al 21%) e formare così una stabile maggioranza con 21 seggi su 40.
La giunta di sinistra fu guidata da Angelo Satanassi del PCI il quale come i due predecessori è ricordato con affetto a Forlì essendo stato il primo a affrontare il problema della povertà delle periferie che in un decennio vennero portate al livello delle condizioni di vita delle altre parti della città e per la sua vicinanza alla gente comune.
La maggioranza fu riconfermata nel 1975 con un grande successo del PCI che toccò il massimo storico col 47,7%.
Nel secondo mandato Satanassi affrontò invece la gravissima crisi del polo industriale di Forlì che patì le difficoltà dell'industria pesante a fine anni settanta e lasciò sul lastrico migliaia di operai licenziati.
Nel 1979 Satanassi fu eletto alla Camera e lasciò il posto di sindaco a Giorgio Zanniboni, anch'egli del PCI. Nonostante la grave crisi economica presente in città e le difficoltà nazionali della sinistra Zanniboni fu rieletto nel 1980 e poi ancora nel 1985 (col PCI al 44,3% e il PSI all'8,2% stabili come maggioranza e la DC e il PRI lontani, rispettivamente al 19,5% e al 16,9%)
Questo secondo mandato che avrebbe potuto essere difficile per il sindaco in carica a causa dello scontro nazionale tra il PSI craxiano e il PCI che si ripercuoteva anche a livello locale con la crisi di alcune giunte di sinistra fatte cadere dal PSI, si rivelò invece molto facile sul piano politico con la maggioranza molto salda e addirittura allargata al PRI e molto felice per la città che, uscita della crisi economica, mutata da città prevalentemente contadina e operaia a città del terziario e dei servizi, raggiunse un forte grado di prosperità economica sostenuto anche da un alto livello di servizi.
Alle amministrative del 1990 venne eletto l'ultimo sindaco comunista, Sauro Sedioli (il quale già l'anno prima aveva sostituito Zanniboni passato ad altri incarichi) sostenuto dalla medesima maggioranza del predecessore. La maggioranza, confermatasi alle politiche del 1992 con ampio margine (PDS al 31,3%, PRI al 15,7%, e Psi all'8%), riuscì a sopravvivere indenne a tangentopoli nonostante lo sbriciolamento dei socialisti e la crisi dei repubblicani e chiuse il mandato sostanzialmente integra con pochi componenti inquisiti e quasi tutti quelli inquisiti scagionati delle accuse.

Nel 1995 si votò per la prima volta con il nuovo sistema elettorale e la coalizione di sinistra sostenuta anche dai resti del PRI guidata da Franco Rusticali ottenne la vittoria con un ampio margine.
Nel 1999 Rusticali fu rieletto col 56.7 % battendo vari candidati tra cui Stefano Gagliardi di Forza Italia fermo al 18,9 %, un candidato di Alleanza Nazionale che ottenne il 10 % e uno della Lega Nord, il futuro segretario della Lega Nord Romagna e deputato Gianluca Pini che si fermò appena al 2%. Anche in questo caso il PRI (oramai sceso al 6,6%) dei voti sostenne la coalizione di centro-sinistra mentre i Verdi e Rifondazione Comunista si presentarono con due liste separate ottenendo rispettivamente il 4,5 e il 3,8% dei voti.
Durante il periodo della seconda giunta Rusticali, l'Azienda Sanitaria Locale di Forlì iniziò la costruzione del nuovo ospedale di Forlì, ritenuto uno dei più avanzati in Italia, completata nel 2004.
Nel 2004 il centro-sinistra ha candidato Nadia Masini (DS) contro il noto giornalista sportivo Marino Bartoletti candidato del centro destra. La Masini ha vinto col 58,7 % contro il 36 % di Bartoletti.
La giunta Masini è ricordata per gli scontri interni alla maggioranza che hanno provocato la fuoriuscita dei Verdi e del PRI dalla maggioranza stessa nonché per le divisioni sorte all'interno del partito del sindaco (il PD) poi sfociate nelle primarie del 2008. Per quanto riguarda il governo della città la giunta si è impegnata nella promozione su scala nazionale di Forlì ad esempio con la creazione del complesso museale del S. Domenico. È da ricordare anche l'impegno per il miglioramento della viabilità cittadina e l'avvio del lavori del sistema tangenziale.
Le elezioni 2008 hanno visto a Forlì confermarsi la forza del PD al 46,26 % e le difficoltà del PDL al 29,54 % mentre hanno visto una forte avanzata della Lega Nord al 6,66 % (+ 3 %) e dell'Italia dei Valori al 4,25 % (+ 2,5 %) e la contemporanea scomparsa della sinistra radicale ferma al 2,7 %.
Per decidere il candidato sindaco per le comunali 2009 il PD ha svolto le primarie tra Nadia Masini e Roberto Balzani. Dopo una campagna elettorale abbastanza accesa ha trionfato per 44 voti Balzani.
Il centro destra ha opposto a Balzani Alessandro Rondoni giornalista vicino a Comunione e Liberazione sostenuto da PDL, Lega, UDC e Fiamma Tricolore.
Nonostante i toni pacati dei 2 sfidanti la campagna elettorale è stata molto accesa con duri scontri su tematiche che spaziavano dal centro storico, alla sicurezza, all'immigrazione passando per le accuse di stalinismo, disonestà, fascismo e razzismo che le forze in campo si sono lanciate.
Dopo aver mancato la vittoria al primo turno per 600 voti fermandosi al 49,4 % contro il 40,3 % del rivale, Roberto Balzani ha vinto il ballottaggio col 55%.
In consiglio comunale la maggioranza è composta da 22 seggi del PD e 2 dell'IDV mentre l'opposizione conta 9 seggi del PDL, 3 della Lega Nord, 3 dell'UDC e 1 della lista civica DestinAzione Forlì.
Alle elezioni europee invece si è confermata la maggioranza relativa del PD calato però al 40,3%, la crescita della Lega al 10 % e dell'IDV al 6,7% mentre il PDL e l'UDC sono rimasti stabili e la sinistra radicale è ricomparsa oltre il 3 % raggiungendo nell'insieme delle due liste il 4,14 %.
Le regionali 2010 hanno sostanzialmente confermato questa situazione col PD stabile al 40,2%, la sinistra e l'IDV in leggero calo rispettivamente al 6,4% e al 3,8% mentre a destra sono scesi il PDL (al 27,5%) e l'UDC (al 3,3%) con il contestuale rafforzamento della Lega al 13,1%. Una forte affermazione è stata ottenuta dalla lista DestinAzione Forlì collegata al Movimento 5 stelle-Beppe Grillo che ha toccato il 5,6% dei consensi.

Negli ultimi anni si è consumato anche il lento declino del Partito Repubblicano che, indebolito dalle continue fuoriuscite verso Forza Italia o i Democratici di Sinistra e scissione delle sue diverse anime in seno allo scontro tra destra e sinistra interne, è crollato vertiginosamente nei consensi scendendo al 4,9% del 2004 e al 2,3% del 2009 perdendo anche, per la prima volta dopo 63 anni, la presenza in consiglio comunale.
Forlì sorge nella pianura padana, più precisamente in Romagna, a 5 km di distanza dalle prime colline del Preappennino Tosco-Romagnolo e a circa 26 km dalla riviera adriatica. La periferia è bagnata dal fiume Montone, che presso il quartiere Vecchiazzano riceve le acque del fiume Rabbi, per poi lambire le mura urbane presso Porta Schiavonia, e dal fiume Ronco che attraversa l'omonimo quartiere periferico della città.
Nel bacino dei Fiumi Uniti le rocce tendono a divenire sempre più recenti procedendo da monte verso valle. Quelle più antiche di origine locale sono, infatti, rappresentate dal macigno, una potente successione di banchi arenarici con intercalazioni marnose, formatisi tra i 37 e i 18 milioni di anni fa, affiorante nel crinale appenninico. Nella montagna e nella collina domina invece la formazione marnoso-arenarica, sedimentatasi tra i 15 e i 7 milioni di anni fa. Durante l'accumulo di questa formazione, dello spessore di 5300 m, la profondità del fondo marino veniva mantenuta praticamente costante da una progressiva subsidenza.
Verso la fine del miocene medio, cessata la subsidenza, il braccio di mare in esame tende a colmarsi, inizia al di sotto delle profondità marine il corrugamento delle rocce sedimentate e pervengono nelle aree romagnole le prime coltri alloctone. Esse prendono nome di liguridi, perché il loro nucleo principale si è formato nel dominio ligure durante il cretaceo. Queste rocce, a casa dei successivi movimenti, sono ridotte in uno stato caotico e hanno trascinato con sé anche formazioni più recenti depositatisi su di esse durante le varie stasi del movimento. Nel Comune di Forlì solo un modesto lembo alloctono affiora attualmente sulla riva destra del fiume Ronco.
Nel miocene superiore, circa di 5 milioni di anni fa, l'orogenesi e il concomitante abbassamento del livello marino, conseguente al disseccamento del Mediterraneo in seguito alla chiusura dello stretto di Gibilterra, hanno determinato una vasta emersione di terre. Le aree montane e collinari erano solcate da corsi d'acqua, che hanno dato origine ai depositi deltizi che si trovano a monte del Comune di Forlì al confine con quello di Predappio. Laghi e lagune occupavano le parti più depresse del territorio e, specie queste ultime, erano soggette a forti e prolungate evaporazioni, che hanno dato origine alle rocce della formazione gessoso-solfifera, tipiche ancora oggi delle zone collinari. Nelle terre emerse vi verdeggiava una ricca flora, ed era popolata da cavalli, carnivori, insettivori, scimmie, uccelli e rettili, tutti animali di cui sono pervenute resti fossili.
All'inizio del Pliocene, ristabilitesi definitivamente le comunicazioni tra Mediterraneo e oceano Atlantico, un mare ricco di vita vegetale, il mare è tornato ad avanzare fino alle attuali aree di bassa collina ed ha abbandonato sedimenti argillosi e sabbiosi a seconda dei luoghi e delle profondità. In questo periodo si è depositato anche lo spungone, pietra tipica locale, costituita da un calcare del Pliocene inferiore medio, prodotto da una scogliera sottomarina ricca di vita.
Durante il Pliocene superiore e gran parte del pleistocene inferiore, con cui inizia circa 1,8 milioni di anni fa l'era quaternaria, continua nella bassa collina la sedimentazione dell'argille marine il cui inizio della nuova era è indicato dalla comparsa di fossili, testimoniante il raffreddamento del Mediterraneo. Successivamente la profondità del mare è progressivamente diminuito fino a dare luogo nella zona precollinare, tra 1,45 e 1,1 milioni di anni fa, alla spiaggia delle sabbie gialle, interrotta qua e là dai delta dei fiumi appenninici. Sulle terre emerse allora crescevano rigogliose vegetazioni arboree e il mare era ricco di molluschi e di altri organismi. Alla fine del pleistocene inferiore lungo questa costa vivevano gli homo erectus, che hanno lasciato numerosi reperti nella zona del Monte Poggiolo.

Alla fine del pleistocene medio, su una superficie di erosione raccordante la pianura all'antica superficie collinare, si è venuto formando un livello di limi di origine eolica, definiti loess,[6] attribuibile alla glaciazione rissiana, terminata circa 150.000 anni fa. L'ambiente era allora arido e piuttosto freddo, ed il suolo coperto da piante erbacee e da rari alberi, grossi erbivori (elefanti, rinoceronti, bisonti) che erano preda di piccoli gruppi di cacciatori nomadi.
Durante l'ultima parte dell'era quaternaria i fenomeni erosivi hanno completato il modellamento attuale del rilievo collinare e montano, in cui dominano forme di tipo piramidale negli affioramenti della formazione marnoso-arenacea e dolci ondulazioni della collina argillosa, spesso interrotte da ripidi ventagli di vallecole dei calanchi. Contemporaneamente nella pianura si sono formate potenti coltri alluvionali in seguito al deposito di sedimenti erosivi dei rilievi e trasportati dei fiumi nelle parti depresse del territorio. Al di sotto di Forlì, il loro spessore è superiore a 200 m. Anche nelle pendici collinari montane i corsi d'acqua hanno lasciato tracce della loro attività di sedimentazione.
Il clima di Forlì è condizionato dalla sua posizione geografica, vicina alla costa del mare Adriatico, al margine meridionale della Pianura padana e a ridosso del crinale appenninico, il quale, insieme ai contrafforti montani tra le valli, orientate da sud-ovest a nord-est, influenza notevolmente l'andamento dei venti al suolo.
Il mese più freddo, gennaio, ha una temperatura media di 3,1 °C, mentre quello più caldo, luglio, ha una temperatura media di 24,7 °C. La temperatura più alta registrata a Forlì è stata di +39,3 °C nel 2000 mentre quella più bassa è di -19,0 °C registrata nel gennaio del 1985.
L'escursione annua, data dalla differenza tra la temperatura media del mese più caldo è quello del mese più freddo, oscilla tra i 18 ed i 23 °C.
Le precipitazioni medie annue di Forlì sono all'incirca di 745 mm di pioggia, ed il numero di giorni piovosi è in media di 75. Le piogge sono distribuite in modo piuttosto regolare durante l'anno, con valori massimi in novembre (79 mm) e minimi in gennaio (38 mm), febbraio e luglio (40 mm).
Il fenomeno della nebbia si presenta regolarmente ogni anno, soprattutto nei mesi invernali, o a fine autunno, manifestandosi a diversi livelli di intensità e di frequenza con prevalente accentuazione delle zone di pianura nelle depressioni morfologiche e diradandosi più a sud a partire dalle propaggini appenniniche.
A Forlì predominano i venti di nord-ovest, di est e di sud-ovest. In primavera, in estate e l'autunno prevalgono venti da est, in inverno quelli da nord-ovest.

La Venere di Schiavonia, dal nome del rione cittadino presso la quale fu rinvenuta. È il reperto più prezioso di età romana rinvenuto in città

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