venerdì 30 settembre 2016

Lumache Abbinate (ricetta con lumaca littorina littorea)
INGREDIENTI
Per le lumache
1 kg lumache Buccinum Undatum
1 kg lumachine Littorina Littorea
Aceto di malto
Olio di oliva
Per la salsa di sesamo
100 g pasta di sesamo tahini
20 g aglio (bollito almeno cinque volte in acqua e latte)
30 g succo di limone
150 g brodo vegetale
Sale
Per la crema di limone salato
1 kg limoni costiera
Sale grosso
Per il cuore di lattuga confit
2 cuori di lattuga baby
Olio extra vergine di oliva
Sale
Pepe
Per i sassi di oliva
100 g olive verdi in salamoia
Per lo scalogno in carpione
4 scalogni
sale grosso
200 g aceto di mele
200 g vino bianco
200 g acqua
100 g zucchero
Per la rifinitura
20 g sesamo nero tostato e frantumato
50 g alghe miste (Codium, Mastocarpus, Irish moss)

PROCEDIMENTO
Per le lumache
Portare a ebollizione dell’acqua salata, cuocere i Buccini per 40 minuti e le Littorine per 10 minuti. Lasciare raffreddare e sgusciare la carne con l’aiuto di uno stuzzicadenti.
Mantenere le Littorine intere, invece dopo aver mondato i Buccini e aver scartato la parte posteriore, tagliarli in una tartare grossolana. Fare una veloce vinaigrette e condire la carne dei Buccini.
Per la salsa di sesamo
Con un frullatore a immersione frullare tutti gli ingredienti fino a ottenere una salsa dalla consistenza vellutata.
Per la crema di limone salato
Lavare bene i limoni, tagliarli in quarti e metterli in un vaso ermetico alternando i limoni a manciate di sale grosso e pressando per far fuoriuscire parte del succo.
Chiudere bene e lasciar riposare in luogo buio e asciutto per almeno tre mesi.
All’occorrenza prelevare qualche pezzo di limone, sciacquarlo bene e ridurlo in crema con un frullatore.
Per il cuore di lattuga confit
Dividere un cuore di lattuga in quattro parti, salare, pepare e mettere in un sacchetto per cottura in sottovuoto.
Aggiungere un dito di olio e chiudere al massimo del vuoto.
Cuocere per 20 minuti a 100°C in forno a vapore.
Per i sassi di oliva
Affettare le olive attorno al nocciolo, ricavando quattro fette per ogni oliva. Infornare per un’ora e mezza a 120°C.
Per lo scalogno in carpione
Cuocere gli scalogni interi sotto sale in forno per 15 minuti a 180°C.
Togliere dal sale, lasciare raffreddare, mondare dalla pelle e tagliare in quattro metà.
Nel frattempo portare a ebollizione i liquidi e lo zucchero, a ebollizione raggiunta togliere dal fuoco e aggiungere gli scalogni.
Lasciare in immersione fino al completo raffreddamento del liquido.
Per impiattare:
Con un pennello da pasticceria stendere sul fondo del piatto la salsa di sesamo.
Disporre le littorine intere cercando di utilizzare tutta l’area del piatto, e poi disporre piccoli cucchiai di Buccini tritati. Mettere qualche goccia di crema di limone distribuendo uniformemente.
Sfogliare lo scalogno ed adagiare alcuni petali, ripetere l’operazione con la lattuga e rifinire il piatto riempiendo le aree vuote con alghe e polvere di sesamo.


La Littorina littorea
La littorina comune (in lingua inglese periwinkle o winkle) o, secondo la definizione binomiale, littorina littorea, è una piccola specie edibile di lumaca branchiata marina, un mollusco gasteropode della famiglia delle littorinidae. Le conchiglie, sia di individui maschi che di femmine, alla maturità hanno una dimensione da 10 a 12 mm, con un limite massimo di 30 mm, mentre l'altezza della conchiglia può raggiungere i 55 mm. La distribuzione nativa di queste specie è nel nord-est dell'Oceano Atlantico: costa della Spagna settentrionale, Irlanda fino a Scandinavia e Russia. Rappresenta una specie aliena sulle rive nord-occidentali dell'Oceano Atlantico del Canada e Stati Uniti e sembra possa essere stata introdotta con le rocce di zavorra verso la metà del Ottocento.  Venne trovata per prima nel Nord America nel 1840 nel Golfo di San Lorenzo meridionale (Canada) ed è attualmente un mollusco predominante dal New Jersey in su, verso nord. Negli U.S.A. viene trovata nelle zone costiere, sulla costa orientale (dal Maine alla Virginia) e sulla costa occidentale (dalla California a Washington). Ebbe inoltre un grande impatto negativo sugli ecosistemi invasi, poiché entrò in competizione con i gasteropodi nativi.  Come quasi tutte le lumache, le littorine strisciano usando una muscolosa zampa grassa, che viene lubrificata da una pellicola di muco. Quando non è attiva, spesso si rifugia in una fessura o cavità. Durante la bassa marea quando è esposta all'aria, essa può sigillare l'apertura tra la sua conchiglia e la roccia con il muco onde prevenirne l'essiccazione. Quando è slegata dal substrato essa può effettivamente sigillare la sua conchiglia sia contro l'essiccamento che contro i predatori usando il suo opercolo.
In tutto il mondo ci sono numerose specie di littorine o littorinidi, e tutte vivono nella zona intercotidale. Alcune specie si sono adattate a vivere molto lungo nella zona della battigia, in un habitat che può essere secco la maggior parte del tempo. Nonostante questo, tutte le littorine sono lumache branchiate più strettamente correlate agli altri gasteropodi marini che non alle lumache di terra polmonati.
La littorina comune viene principalmente trovata sulle coste rocciose nella più alta e media zona intercotidale. Talvolta vive in piccole pozze d'acqua (tide pools) nella roccia create dal ritiro dell'alta marea, di dimensioni caratteristiche che vanno da 1 a 2 m. È stata anche trovata in ambienti fangosi come gli estuari, situati nella battigia, al limite estremo dell'alta marea e può raggiungere anche la profondità di 60 m.
Le femmine depositano 10.000-100.000 uova contenute in una capsula cornea da cui le larve fuoriescono e si sistemano sul fondo. Essa può generare tutto l'anno secondo il clima, pervenendo a maturazione a 10 mm e vivendo 5–10 anni.
Principalmente si nutre d'alghe, ma anche di piccoli invertebrati come le larve di cirripedia. Le littorine pascolano lungo la superficie sulla quale esse vivono, ed usano la loro radula per raschiare le alghe dalle rocce, e, nella comunità dell'acquitrino salato, raccoglie alghe dalle spartine (cord-grass) o dalla pellicola che copre la superficie del fango negli estuari o baie.
Per centinaia di anni le littorine comuni o edibili sono state raccolte sulle rive dalla gente per cibarsi. Di solito esse sono staccate dalle rocce a mano o catturate con una "rete a strascico" di pescatore dalla barca. Esse si mangiano nel Regno Unito e in Irlanda dove sono comunemente chiamate "winkles" (o in alcune aree "willicks" o "wilks"). Non è raro trovare littorine cotte vendute in sacchetti di carta sulle spiagge irlandesi, di solito condite con sale, con uno stecchino attaccato al sacchetto per agevolare l'estrazione del mollusco dalla conchiglia.
In Belgio, dove anche vengono mangiate, esse vengono riferite come "crickles". In Francia, si chiamano "Bigorneau" e sono presenti cotti su tutti piatti di frutti di mare.
Le littorine sono una prelibatezza nella cucina africana ed asiatica.
La carne ha un alto contenuto in proteine, ma basso in percentuale di grassi; secondo l'USDA (database delle sostanze nutrienti nazionali per la consulazione ordinaria), le lumache crude in genere hanno circa l'80% d'acqua, il 15% di proteine e 1.4% di grassi.

Le littorine possono anche essere usate come esca per prendere piccoli pesci. La conchiglia di solito viene frantumata e la morbida littorina così estratta si infilza in un amo.
Il Salumificio Lombardi  (Santarcangelo di Romagna)
Il salumificio Lombardi di Santarcangelo di Romagna nasce ufficialmente alla fine degli anni ’50, anche se l’attività di macelleria e norcineria era già iniziata, all’interno della famiglia, da decenni, facendola diventare un vero e proprio riferimento per chi desiderava acquistare o lavorare carne di suino.

Di generazione in generazione, da quasi un secolo, il salumificio rispetta e rinnova le ricette della tradizione romagnola, senza mai scendere a compromessi per quanto riguarda la qualità delle sue carni e la preparazione dei suoi salumi e insaccati.
Oggi l’azienda, ancora a conduzione familiare, è una delle più conosciute della zona: l’utilizzo esclusivo di materie prime italiane, le ricette genuine senza aggiunta di additivi, un bassissimo impatto ambientale grazie all’utilizzo di energia rinnovabile e sistemi di riciclo e depurazione all’avanguardia sono solo alcuni dei suoi punti di forza.
Tutto ebbe inizio con la felice intuizione di Giovanni Lombardi che, abbandonata la vita di contadino, decise di dedicarsi alla lavorazione delle carni. La figura di Giovanni è ormai leggendaria, dal momento che secondo storie contadine si dice sia stato proprio lui a confezionare il primo salame puro romagnolo, chiamato con il suo nome. Nel 1957 aprì la prima bottega Lombardi, nel centro di Santarcangelo: qui si macellavano gli animali e si confezionavano insaccati e salumi; si vendeva carne fresca, non solo suina.
Sotto la guida del figlio Tonino l’azienda si sviluppò e crebbe in modo florido, fino a diventare conosciuta in tutta la provincia e a commercializzare i suoi salumi in tutta Italia, attraverso collaborazioni importanti.  Nel 1961 Lombardi si trasferì nella sua sede attuale, lungo le sponde le fiume Marecchia, e cominciò un tipo di produzione su larga scala, grazie all’aggiunta di macchinari e tecnologie all’avanguardia che resero il lavoro più sicuro ed efficiente. Lombardi comincia a rifornire ristoranti, alberghi, grande distribuzione. L’artigianalità e la manualità rimasero e rimangono tutt’oggi, comunque, la base della lavorazione delle carni suine, quel tocco in più che dà ad un prodotto Lombardi quel gusto unico e genuino. Dal 1997 si sceglie di terminare l’attività di macellazione in loco e ci si affida ad un fornitore di grande esperienza per la carne: la ditta Fratelli Sassi di Parma, che garantisce animali sani, nutriti in modo naturale, liberi di muoversi. Si tratta di una carne di alta qualità, indispensabile per avere poi un prodotto finito parimenti sopraffino. Nel 2011 inaugura lo spaccio aziendale, ricavato nei locali dello stabilimento produttivo. Nello stesso anno l’azienda si munisce di un vasto impianto fotovoltaico che gli permette di approvvigionarsi di energia pulita. Oggi, guidato da una nuova generazione, il salumificio Lombardi mantiene inalterate la genuinità e l’attenta lavorazione artigianale dei suoi prodotti, rinnovandosi continuamente con nuove proposte e proponendo salumi e insaccati gustosi, sani, digeribili e a basso impatto ambientale.

Dal 2013 Lombardi ha intrapreso una nuova attività: l’allevamento a ciclo biologico completo di lumache di terra. Si tratta di un alimento molto amato in tutta Italia, che in Romagna viene cucinato secondo ricette tramandate di generazione in generazione. E’ stato destinato un campo di 5000 mq alla elicicoltura, spazio in cui è stata ricreata una situazione naturale di perfetto equilibrio tra le lumache e il loro ambiente,  che interagiscono creando un circolo virtuoso. Le chiocciole, infatti, si nutrono esclusivamente di fiori di girasole, bietole, cavoli e occasionalmente carote, che non solo offrono loro nutrimento ma anche riparo dai fattori ambientali esterni. A differenza delle lumache selvatiche, le lumache allevate hanno un’alimentazione genuina e garantita.  Il mollusco è facilmente digeribile, ricco di proteine (13,4%) ed ha una percentuale di grassi e carboidrati molto ridotta. A proposito di grassi, quelli delle lumache sono benefici: in un etto si trovano all’incirca 119 mg di Acido Eicosapentaenoico, o EPA, un Omega-3 che si trova anche nel pesce azzurro e ha effetti antinfiammatori e benefici sul sistema cardiovascolare.
La carne di lumaca contiene inoltre niacina (o vitamina b3) calcio, fosforo, potassio e zinco, il tutto ad un “prezzo” calorico davvero esiguo: solo 67 Kcal per 100 gr di prodotto. lumache Rimini
Le lumache di terra Lombardi sono raccolte solo da ottobre ad aprile, nel periodo in cui le loro carni hanno le caratteristiche nutrizionali migliori. Sono poi messe a spurgare dalle impurità, procedimento che dura diversi giorni, duranti i quali alle chiocciole non viene dato da mangiare. Al termine della depurazione sono poi lavate accuratamente in acqua e aceto, per ripulirle dalle loro naturali secrezioni. Le lumache da terra dell’allevamento Lombardi sono poi confezionate e poste in frigorifero, pronte ad essere acquistate e consumate fresche. Ogni regione tramanda ricette diverse di intingoli con cui condire le lumache; alcuni sughi sono “in bianco”, moltissimi hanno come base il pomodoro, c’è chi aggiunge le acciughe, ma sempre presenti sono le erbe aromatiche (menta, finocchietto, alloro…) e ingredienti di base come cipolla e/o aglio, che ben si sposano al gusto della carne di lumaca.  Le lumache come cibo, nella storia e oggi,  Questi molluschi di terra venivano mangiati e persino allevati sin dal tempo degli antichi Romani: Plinio e Varrone descrivono gli allevamenti, che prevedevano l’ingrasso delle lumache con farine di cereali ed erbe aromatiche. Grazie ai due eruditi sappiamo che venivano tradizionalmente servite con il latte.

Furono proprio gli antichi Romani a portare le lumache e l’abitudine di consumarle in tutto il loro vasto impero, in Europa e nel Mediterraneo. Nel corso della storia alla carne di lumache furono anche attribuite proprietà medicamentose. Fonte di nutrimento per secoli, poi in qualche modo cadute nel dimenticatoio, le lumache di terra oggi rivivono una seconda giovinezza nella gastronomia italiana grazie alle loro proprietà nutrizionali e alla loro versatilità, che incontrano il gusto e le esigenze di una ampia fascia di popolazione.
Ricette con le lumache di mare
Per gustare al meglio le lumache di mare occorre ricordare che i frutti di mare non vanno tenuti troppo tempo sul fuoco perchè la loro carne diventa dura e gommosa oltre a perdere molto del loro sapore. Se normalmente gli stuzzicadenti non vanno messi in tavola, questa volta occorre farlo per consentire ai commensali di estrarre facilmente le lumache di mare dal loro guscio.
1/2 kgLumache di mare, 1 spicchio Aglio, 1 tazza Salsa di pomodoro, 1 pezzetto Peperoncino, 3 cucchiai Olio extravergine, Sale q.b.
Lavate per bene le lumachine di mare lasciandole spurgare per qualche ora in acqua leggermente salata.
Schiacciate lo spicchio d'aglio e lasciatelo imbiondire a fiamma bassa in una padella con l'olio finchè apparirà dorato.
Eliminate lo spicchio d'aglio e versate la salsa di pomodoro ed il peperoncino tagliato a pezzetti, lasciando poi insaporire per un paio di minuti la salsa.
Unite anche le lumachine, salate leggermente e fate cuocere per circa 30 minuti a tegame coperto.
Sistemate le lumachine in una scodella adeguata con il liquido di cottura e servite in tavola accompagnando con gli stuzzicadenti e qualche fetta di pane casareccio.

Guazzetto di lumachine di mare
Mettete a bagno le lumachine per almeno un paio d’ore in acqua e sale (un cucchiaio di sale in ogni litro di acqua) è importante far uscire fuori il mollusco prima di cucinarlo altrimenti se resta all’interno del guscio si farà fatica a tirarlo fuori con lo stuzzicadenti. Trascorso questo tempo, lavate le lumachine sotto acqua corrente più volte, fino a quando l’acqua non uscirà bella pulita. In una pentola capiente riscaldate un filo d’olio con lo spicchio d’aglio schiacciato e il peperoncino, non appena l’aglio inizia a prendere colore tuffateci le lumachine e fate andare sul fuoco per un minuto, sfumate con il vino bianco e quando sarà completamente evaporato aggiungete il concentrato di pomodoro (in alternativa 200 ml di passata di pomodoro) 300 ml di acqua, un pizzico di sale, il prezzemolo tritato e fate andare sul fuoco a fiamma viva per 10/15 minuti. Servite le lumachine calde accompagnando con dei crostini di pane.

Maruzzelle in bianco (lumachine di mare)
Squisita ricetta che vede come protagoniste le "maruzzelle" ossia le lumachine di mare. Ed è un piatto diverso sul modo di cucinare le squisite maruzzelle che, di solito, vengono preparate tipo "zuppa" (la ricetta la trovate qui). E' una pietanza molto squisita che può definirsi uno "sfizio" ma che può essere benissimo anche un secondo piatto o un piatto unico magari accompagnato da crostini di pane ed anche uno sfizioso antipasto.
Preparazione
lavate molto bene le lumachine, scolatele e sistematele in una terrina, cospargetele di un pò di sale fino. In una pentola fate imbiondire l'aglio in un filo d'olio e il peperoncino piccante.

Quando l'aglio sarà dorato aggiungete le lumachine, fate insaporire velocemente rimestando con un cucchiaio di legno. Aggiungete un pò d'acqua e fate cuocere a fuoco bassissimo e con il coperchio controllando che ci sia sempre il liquido di cottura. Quando le lumachine saranno diventate tenere aggiungete il prezzemolo tritato e una bella macinata di pepe nero. Fate insaporire e servite in tavola. Vino consigliato: bianco tipo Fiano servito molto fresco.
Le ricette di Lumache in Romagna
Tortelloni di lumache
INGREDIENTI
400 g di polpa di lumache cotte olio extra vergine d'oliva
50 g di prosciutto crudo di Parma odore di noce moscata
1 uovo ruspante burro fresco
3 cucchiai di Parmigiano Reggiano 48 mesi grattugiato 1 spicchio d'aglio
una buona manciata di prezzemolo fresco tritato sale
salsa di pomodoro (fatta in casa con ottimi pelati)
RICETTA
Tritare metà delle lumache insieme al prosciutto crudo, aggiungervi l'uovo, il Parmigiano
Reggiano, il prezzemolo tritato, la noce moscata ed il sale. Questo sarà il ripieno dei nostri
tortelloni, da farsi rigorosamente con sfoglia fresca dell'azdora romagnola, bella gialla e rugosa,
da tirar su bene il sugo.
Chiusi i tortelloni, preparare il sugo con la polpa di lumache rimasta, tagliuzzata
grossolanamente. Scaldare una padella sul fuoco con un goccio d'olio, il prezzemolo tritato ed
uno spicchio d'aglio, da togliere una volta dorato. Versarvi le lumache e cuocerle a fiamma
bassa per 15 minuti, aggiungendovi prima un po' di burro (un cucchiaio circa) e poi la salsa di
pomodoro. Condire bene con il sale e lasciar cuocere a fuoco lento facendo restringere.
Cuocere i tortelloni in una pentola d'acqua salata e, appena affiorano in superficie, scolarli e
mescolarli al sugo caldo. Servirli caldi fumanti, portando a tavola quel bel pezzo di Parmigiano
Reggiano che avete utilizzato e una grattugia, così che ciascuno poi si serva da solo.
Lumache in umido al finocchio selvatico
INGREDIENTI
400 g di polpa di lumache cotte olio extra vergine d'oliva
lardo di Mora Romagnola 3 spicchi d’aglio fresco
finocchio selvatico 1 bicchiere di buon vino Sangiovese
aglio secco sale e pepe
3 bei pomodori dell'orto
RICETTA
In un capiente tegame di terracotta, fare un soffritto di aglio secco, lardo e finocchio selvatico
tritati. Quando l'aglio sarà dorato, aggiungere le lumache, sale, pepe, altro finocchio selvatico a
pezzetti ed i 3 spicchi d'aglio fresco. Cuocere per 15 minuti ed aggiungere i pomodori freschi
tagliati a pezzetti. Coprire il tutto con acqua tiepida ed il bicchiere di buon Sangiovese,
lasciando cuocere per altri 30 minuti circa.
Servire le lumache ancora calde al centro del tavolo, con dei bei crostoni di pane casereccio,
innaffiati d'olio.
Lumache fritte alla salvia
INGREDIENTI
60 lumache cotte, sgusciate e pulite pan grattato
100 foglie di salvia fresca dell'orto strutto fresco
4 uova ruspanti sale e pepe
RICETTA
Preparare 100 foglie di salvia fresca, lavandole ed asciugandole bene. Sbattere 4 uova intere,
salarle e passarvi le foglie di salvia, una ad una, impanandole poi nel pan grattato. Prendere le
lumache scolate e fredde e, come per la salvia, passarle nelle uova sbattute, poi nel pan
grattato. Avvolgere le lumache, una ad una, con le foglie di salvia, fermandole con uno
stuzzicadenti. Friggerle in un buono strutto fresco e servirle subito, ben calde.
Uno street-food golosissimo!

Maccheroni con lumache alla diavola
INGREDIENTI
400 g di polpa di lumache 1 bicchiere di buon vino bianco secco
400 g di maccheroni rigati (che tirino su il sugo!) mezzo peperoncino fresco piccantissimo
2 spicchi d'aglio olio extra vergine d'oliva
400 g di pomodori freschi e belli maturi, tagliati
a pezzetti, senza semi né pelle
sale
RICETTA
Mettere a scaldare in una padella bella grande l'olio e l'aglio schiacciato. Quando l'aglio ha
preso colore, avrà già rilasciato tutto il suo fantastico sapore, per cui toglierlo. Aggiungere il
peperoncino tagliato finemente, insieme al bicchiere di vino. Quando il vino sarà evaporato,
versare i pomodori a pezzetti in padella, aggiungervi le lumache, aggiustare di sale e mescolare
spesso. Cuocere i maccheroni al dente in acqua salata senza scolarli del tutto ed unirli al sugo
di lumache, terminando la cottura in padella. Assorbiranno tutta la salsa e saranno una vera

bomba... di sapore!
La Bavosa Romagnola
Lumache di terra. Cibo povero e antico, che sa di tradizione, di folclore. C'è chi ricorda i nonni che, con tanta maestria e dedizione, le preparavano in umido, in guazzetto, non aspettando altro che un pezzo di pane da intingere fino a sporcarsi le mani. C'è poi chi arriccia il naso anche solo a vederle o si incuriosisce vedendole muoversi.
La Bavosa Romagnola è nata da un’inedita e coraggiosa idea emersa in risposta ad un periodo di crisi che ha spinto a reinventare l’allevamento della lumaca dando libero sfogo all’incredibile passione e dedizione per la terra, la natura e la cura dell’ambiente che la circonda.
Situata nel cuore della campagna romagnola, l’Azienda si occupa di allevamento e vendita di lumache di qualità per la gastronomia. Seguendo il naturale ciclo biologico dell’animale, vengono adottate tecniche d’allevamento e produzione non invasive, beneficiando del clima mite, caratteristico del territorio.
Costanza, metodicità, pazienza ed amore contraddistinguono il lavoro e forniscono solide basi a garanzia di un prodotto d’elevata qualità, sano e genuino.
Questo è l’obiettivo che giornalmente si prefigge La Bavosa Romagnola.
Le lumache allevate sono di razza HELIX ASPERSA MULLER (che raggiungono una taglia di circa 10/12 g). Dopo un’attenta selezione, il prodotto viene raccolto e sottoposto a spurgatura per oltre 10 giorni (senza essere alimentato, così da espellere tutte le impurità, sino alla completa asciugatura e formazione della membrana), confezionato e venduto pronto per la cottura.

Le lumache sono quindi vendute vive, asciutte ed opercolate (sigillate naturalmente ed in letargo nella loro conchiglia).  È possibile conservare le lumache vive in frigorifero alla temperatura di 4/5 °C.

martedì 13 settembre 2016

da: Palatoanarchico - palatoanarchicosignorg - 
Il Trofeo Nazionale Pizza Eccellenze d' Italia - 
Il nome di “Trofeo Nazionale Pizza Eccellenze d' Italia”, seconda edizione non è casuale, lo chiariamo subito e nel massimo rispetto delle millanta manifestazioni, eventi e campionati che nel mondo pizza si tengono e soprattutto in Italia. Noi tutti, dal Vice Presidente Nazionale Marcello Lamberti, coordinatore dell’API Calabria e Scuola Nazionale di Rende, a Pietro Tangari detto Pedros, anche Consigliere Nazionale, ai Maestri Pizzaioli come Tony Sergione e Mauro Mazzotta, sino a Katia Ritacco nostro Ufficio di Segreteria, e così via ai tanti degli associati API Calabria, abbiamo voluto interpretare sino in fondo la filosofia che il grande Maestro pizzaiolo Angelo Iezzi, Presidente API Nazionale, ha dato da sempre, dalla nascita della sua Associazione Pizzerie Italiane, infondendo questo spirito a tutti gli associati. Una filosofia che esalta le qualità intrinseche delle Pizzerie di vario genere, ma di concreta qualità, ed evidenzia quelle dell’uomo pizzaiolo, professionista grande artigiano e ben consapevole e preparato in tutto nell’offerta alla sua clientela. Dunque realizzando, anche nella seconda edizione nella bellissima location del T Hotel nella zona di Lamezia Terme, non un ennesimo “campionato” nazionale od addirittura mondiale…, ma una esibizione-competizione delle singole professionalità, di giovani e meno giovani (ovviamente salvo l’equipe degli istruttori della Scuola di Rende) e della esaltazione, consapevole ma misurata, di quelle materie prime (oltre l’impasto e la sua fondamentale lievitazione e quindi perfetta cottura) che elevano la pizza finale, qualunque tipo essa sia, e promuovono concretamente il territorio. Del resto di Campionati Nazionali ed importanti l’API ne fa uno e non a caso da ben 16 anni, con evidente successo e partecipazione vera dalle varie regioni, così come per le delegazioni estere di folta rappresentanza, sia come numero di nazioni che per singoli partecipanti. Oltre ad altre, e giustamente poche, occasioni internazionali presenti in Italia, realizzate storicamente anche da altre associazioni od organizzazioni del settore. E quindi fare l’ennesimo “campionato” roboante, tanto per affiggere patacche o fare a gara sulle dimensioni dei trofei, quando non addirittura ricorrendo al nome “mondiale”, come vezzo purtroppo diffuso nell’ambiente, non rientra per nulla nella mentalità e filosofia dell’API Calabria che invece punta alla qualità e non alla quantità, ed ancora meno quando si assiste ad ipotetiche internazionalità rappresentate da pochi concorrenti presi alla buona o perché parenti ed amici di chi variamente organizza. Il mondo della pizza e delle pizzerie coi suoi protagonisti ha invece bisogno di ben altra politica di riconoscimento, pur dando spazi opportuni, premi e concorsi nelle occasioni giuste ed appropriate, ma mai dimenticando la formazione seria (c’è chi offre una settimana tutto compreso, ovviamente a costi salati, “et voilà” ecco il professionista-pizzaiolo pronto…!!) e con aggiornamenti continui nel rispetto d’una professione di arte bianca che non è seconda a nessuno nell’universo agro-alimentare prima e quindi enogastronomico attuale…Evviva!!!
Bruno Sganga
Giornalista Enogastronomo
Ufficio Stampa API
Museo  Glauco Lombardi dedicato  a Maria Luigia (Parma)

il Museo, intitolato a Glauco Lombardi, è il risultato della sua fatica di risarcire in parte quanto della suppellettile che arredava le residenze ducali veniva portato via da Parma tra il 1862 e il 1868. Fondato a Colorno nel 1915, nel 1961 è stato trasportato a Parma e allestito negli ambienti, decorati dal Petitot, del Palazzo della Riserva. I cimeli, preziose testimonianze di vita, di costume e di arte del Ducato parmense dal 1748 al 1859, sono stati raccolti nel Museo Napoleonico e nelle sale Dorata e Maria Luigia.
Del materiale esposto si ricorda in particolare il manto ducale di Maria Luigia, ornato con ricami in platino; le lettere del Re di Roma e di Napoleone alla Duchessa; la sua mano in marmo, calco di Antonio Canova; i suoi album e diari, acquerelli, gioielli e lettere; un frammento di mantello imperiale donato dalla Duchessa per sovvenire ai bisogni dei parmigiani colpiti dal colera, ecc.
Nella omonima sala si trova il museo Toschi, documentata raccolta dell'opera dell'artista parmigiano, che dette vita, nel primo cinquantennio del secolo scorso, a una scuola d'incisione.
Il Museo ospita inoltre una raccolta d'acquerelli, incisioni e dipinti dell'800, pitture francesi del '700" nella stanza dei Francesi, la raccolta Petitot e l'archivio.
Il Museo nasce dalla ricchissima collezione privata di Glauco Lombardi, che costantemente viene implementata con nuove acquisizioni relative ai tanti temi proposti, fra cui spiccano due protagonisti: Napoleone Bonaparte e Maria Luigia d’Asburgo, la principessa d’Austria divenuta sua moglie nel 1810 e poi nominata duchessa di Parma e Piacenza, dove regnò per oltre trent’anni lasciando un’indelebile traccia nel territorio e nella memoria dei parmigiani.
Le sale del Museo, ospitato nello storico Palazzo di Riserva, offrono un viaggio a ritroso fino all’epoca dell’Impero francese, di cui rimangono ampie testimonianze: dai ritratti ufficiali dei pittori di corte (Lefèvre, Prud’hon, Gérard) ai pregiati vetri e porcellane, dalle spade brandite da Napoleone alle delicate lettere spedite dall’imperatore alla giovane sposa, fino alla corbeille de mariage, il raffinato mobile che conteneva parte del corredo di Maria Luigia, della quale rimane un fastoso abito di gala intessuto d’argento.
Il percorso museale segue poi la storia dell’ex imperatrice che, ritrovandosi a capo di un piccolo stato che ella stessa definì “un vero giardino”, volle dedicarsi a migliorarlo attraverso monumenti ed opere pubbliche, molti dei quali tuttora esistenti, ricordati nel Museo da dipinti e medaglie oltre che dai lavori degli artisti usciti dalla prestigiosa Accademia, fra cui spicca Paolo Toschi, riconosciuto già vivente come il miglior incisore d’Europa.
È però la vita privata della sovrana l’aspetto che più coinvolge il visitatore: gli oggetti esposti provengono in gran parte dai suoi discendenti diretti, quella famiglia Sanvitale che per secoli fu tra le più illustri del Ducato. Al conte Luigi andò infatti sposa Albertina, figlia della Duchessa e del generale Neipperg, l’affascinante diplomatico austriaco che riuscì a farle dimenticare Napoleone. Di Maria Luigia si possono così conoscere passioni e preferenze: diari, gioielli, ricami e acquerelli da lei eseguiti, ma anche la sua farmacia da viaggio e la cassetta da pesca, sono solo alcuni dei tasselli che aiutano a ricomporre la sfaccettata personalità di una figura storica che si trovò al centro dei principali accadimenti della sua epoca, eventi che si possono seguire, punto di vista privilegiato e intenso, attraverso gli occhi di una duchessa.

Alla storia di Parma fanno più in generale riferimento in oltre altre testimonianze pittoriche e curiosità che spaziano dal Settecento al secondo Ottocento, quando alla morte di Maria Luigia il Ducato affrontò il declino che in pochi anni lo portò all’annessione al Piemonte, passando attraverso l’epoca dei Borbone, che per primi guardarono alla Francia come punto di riferimento chiamando a Parma illustri artisti d’Oltralpe come l’architetto Petitot.

Pinacoteca di Cesena,ex Monastero di San Biagio : Ritratto di Napoleone

Tipo: Oggetto fisico; dipinto
Tipo di scheda: Opere e oggetti d'arte
Categoria: Opere d'arte visiva
Tipo: Oggetto fisico; dipinto
Tipo di scheda: Opere e oggetti d'arte
Categoria: Opere d'arte visiva
Autore: Baldacci Vincenzo (notizie 1802/ 1813)

Napoleone è ritratto a tre quarti di figura, in piedi con il corpo leggermente flesso verso lo scettro, con cui sembra sostenersi e il volto frontale. Egli indossa una corona d'alloro sul capo e guarda fisso verso lo spettatore; è vestito con un mantello di velluto rosso ricamato in oro e foderato con pelliccia d'ermellino. Anche la tunica bianca che egli porta è riccamente decorata, i fianchi sono cinti da una sciarpa di seta da cui pende la spada e con la destra tiene lo scettro con l'aquila. Su di un cuscino, in basso, è adagiata una sfera con una croce. Il fondo del dipinto, dalla tinta uniforme, da maggiore risalto al personaggio.
Stato di conservazione: buono
Soggetto: ritratto di Napoleone Bonaparte
Estensione: 140 x 110
Materia e tecnica: olio su tela
Data di creazione: 1804 - 1813, sec. XIX (motivazione della cronologia: contesto)

Ambito geografico: Cesena (FC), Emilia-Romagna - Italia; Raccolta d'arte antica. ex monastero di San Biagio, Pinacoteca Comunale di Cesena. Via Aldini, 26
il Teatro dedicato a Napoleone a Civitella


La sala teatrale di Civitella venne costruita, a spese di Lorenzo Golfarelli, dal 1819 al 1824.
Progettista fu l'ingegnere Giuseppe Missirini, autore anche dei progetti per il teatro di Meldola e per i teatri forlivesi da ubicarsi l'uno al secondo piano del Palazzo già Rossetti e l'altro nel Magazzino dell'Abbondanza. Questi due esempi di ristrutturazione architettonica non hanno trovato realizzazione, ma le tavole di progetto, conservate presso la Biblioteca comunale di Forlì (Racc. Piancastelli), restano valida testimonianza dell'evoluzione architettonica dell'edilizia teatrale.
Il progetto del Missirini, datato 1811, prevedeva la costruzione della cavea comprendente tre ordini di palchi, del foyer e del palcoscenico. Le decorazioni della volta, delle pareti e dell'arcoscenico, opera del bolognese Silvio Gordini, erano costituite da stucchi, dorature e motivi floreali. Per ampiezza poteva contenere 600 persone e per eleganza era giudicato "convenientissimo al paese" (cit. Monografia... 1866). Venne inaugurato nel 1825 e dedicato a Napoleone Bonaparte per la presa di Mosca.
La facciata è caratterizzata al primo piano da tre porte ad arco. Sopra queste, al secondo piano, si trovano tre finestre di cui quella centrale munita di balconcino. Una lapide ricorda sia Golfarelli che il progettista Giuseppe Missirini. La sala si compone di tre ordini di undici palchi, di cui il terzo costituisce il loggione. Un sistema di archi a sesto acuto regge la volta. Il 5 marzo 1970 il teatro fu fortemente danneggiato da un incendio che causò il crollo del soffitto. In seguito è stato restaurato con criteri che ne hanno stravolto la tipologia originaria.
Il teatro, per lungo tempo di proprietà privata, non svolge più la sua funzione originaria. 
Per un certo periodo è stato utilizzato dai ragazzi delle scuole per l'allestimento di spettacoli; poi vi si sono tenute per feste danzanti e saltuariamente per attività espositive. E’ stato acquisito dall'Amministrazione comunale che intende renderlo nuovamente fruibile. 
Il  Museo di Reggio : la Sala Napoleonica
Nella sala napoleonica è documentata la nascita della bandiera e la storia delle vicende politiche di Reggio Emilia dal 1796 all’inizio della Restaurazione.
Dopo la proclamazione della repubblica reggiana il 26 agosto 1796 fu proprio nella Sala del Tricolore che il Congresso della Repubblica Cispadana approvò la mozione di Giuseppe Compagnoni di rendere “universale lo Stendardo o Bandiera Cispadana di tre colori verde, bianco e rosso”: naque così il Tricolore, bandiera di uno stato sovrano, destinata a diventare presto il simbolo dell’indipendenza e dell’unità nazionale.
Napoleone e la Repubblica Reggiana
Agli occhi dei patrioti italiani che fraternizzano con le truppe napoleoniche durante la campagna d’Italia, tra il 1796 e il 1799, i nuovi ideali di libertà, di uguaglianza e di fraternità trovano il loro simbolo più forte nel tricolore francese.
Anche i reparti militari “italiani” costituiti all'epoca per affiancare le truppe francesi adottano uniformi e stendardi con fogge e colori propri, non solo per rendersi riconoscibili in battaglia, ma anche per ragioni politiche. Una forza militare “nazionale” rappresenta infatti il primo simbolo di un nuovo stato che, nella strategia di Napoleone, deve soppiantare la potenza austriaca nell’Italia settentrionale. Così le uniformi della Legione Lombarda e della Legione Italiana, fortemente volute da Napoleone, si distinguono da quelle francesi per avere, al posto del blu, il verde, mutuato con ogni probabilità dal tradizionale colore delle uniformi della milizia urbana milanese.
A Reggio Emilia, nella notte del 25 agosto 1796, viene innalzato in Piazza Grande l'albero della libertà. Il giorno successivo, il Senato reggiano decide di assumere il governo della città e di istituire la Guardia Civica. Nasce così la Repubblica Reggiana.

Il 4 ottobre a Montechiarugolo, la Guardia Civica reggiana, capeggiata da Carlo Ferrarini e coadiuvata da alcuni granatieri francesi, costringe alla resa una colonna di 150 austriaci. Il fatto d’arme assunse un significato politico e simbolico di vasta portata, suscitando l’entusiasmo dei patrioti italiani ed assicurando ai reggiani una duratura fama di coraggio e patriottismo. Napoleone stesso ne enfatizza l'importanza, esaltando lo slancio dei reggiani "nella carriera della libertà", mentre il Foscolo definisce Reggio "Città animatrice d'Italia" e i reggiani "primi veri Italiani e liberi cittadini".


Ed è appunto a Reggio che, nella seduta notturna tra il 27 e il 28 dicembre, il Congresso delle quattro città confederate di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio delibera la costituzione della Repubblica Cispadana "una e indivisibile" e, nella seduta del 7 gennaio 1797, approva la mozione di Giuseppe Compagnoni di rendere “universale lo Stendardo o Bandiera Cispadana di tre colori verde, bianco e rosso": nasce così il Tricolore, bandiera di uno stato sovrano, destinata a diventare presto il simbolo dell’indipendenza e dell’unità nazionale. Il vessillo cispadano ha i colori disposti in tre strisce orizzontali: il rosso in alto, il bianco in mezzo, il verde in basso. Al centro è raffigurato il turcasso o faretra con quattro frecce, a simboleggiare l'unione dei quattro popoli che hanno aderito alla Repubblica, mentre ai lati sono poste le iniziali di “Repubblica Cispadana”.
Il Palazzo della Prefettura a Bologna
Sarà per il red carpet che copre le antiche scale di palazzo Caprara-Montpensier, sarà per le alte volte e l´austerità che emanano gli stucchi, sarà per il sentore d´autorità prefettizia, fatto sta che si resta intimiditi. E una volta fra le sontuose stanze, con l´impressione di varcare un angolo di città proibita, ci si accorge che forse l´effetto è provocato dai fantasmi di tutta la nobiltà europea che ha dormito e soggiornato tra quelle mura, da Napoleone al cognato Eugenio Beauharnais, dai reali di Svezia agli Orleans-Montpensier fino ai Brignole di Genova e, in epoca recente, ai presidenti della Repubblica, da Einaudi a Napolitano.
Per scacciare quest´aria di santuario, è stata fortemente  voluta la monografia sul palazzo, pubblicata dalla Bup  e curata dallo storico Angelo Varni, affiancato da studiosi come Giancarlo Roversi, Marzio Dall´Acqua, Daniela Sinigallesi, Andrea Emiliani ed Elena Musiani. Questa dell´apertura alla città è una scelta voluta proprio per cancellare l´aura di castello inaccessibile che coglie i bolognesi passando davanti alla facciata seicentesca di piazza Roosevelt.
Nel Palazzo della Prefettura importanti  le mostre sui presepi, sulla storia degli alpini e, da ultima, quella sugli abiti d´epoca, gli stessi che sono passati frusciando nelle stanze ora del Governo. C´è persino la veste talare indossata dal cardinal Caprara quando pose la corona di re d´Italia sulla volitiva testa di Napoleone e alcuni degli indumenti degli Orleans. «Per i presepi sono stati quindicimila, per la giornata del Fai duemilacinquecento, e per gli abiti sono già migliaia...» si puà leggere sfogliando i lasciti scritti dei visitatori. La frase più importante recita:  «Chiunque può visitare queste stanze, basta chiederlo».
Molti l´hanno già fatto entrando nell´appartamento presidenziale dov´erano di casa Spadolini e Cossiga, il salone della Guardia, restaurato nel dopoguerra, il salotto della regina dove campeggia un Guercino, la camera dove dormì Napoleone e la moglie Giuseppina Beauharnais con ai lati quattro colonne sormontate da altrettante aquile, e la sala riunioni con un lampadario di Murano capolavoro di fine Settecento. E nei corridoi un Carracci oltre a un Tintoretto.

Ma quello dei quadri è un tasto dolente. «I regnanti di Svezia, quando vendettero ai Brignole, si tennero la collezione, ora al palazzo reale di Stoccolma», all´appello mancano pure la collezione di arazzi finiti all´ambasciata spagnola presso la Santa sede e la serie di ceramiche del Minghetti. se ci fossero anche quelli: sarebbe  molto più di un museo», 
La storia : Napoleone in Emilia Romagna
Nell’età napoleonica l’Emilia Romagna ha avuto un ruolo da protagonista: qui Napoleone sperimentò un modello di conquista, poi esteso a tutta l’Europa, basato non solo sulle sue indubbie abilità militari ma anche e soprattutto sulla modernità delle soluzioni istituzionali e amministrative di cui si fece portatore. Con Napoleone giunse la Rivoluzione dell’89, una rivoluzione ormai alla ricerca di uno stabile equilibrio   tra innovazione e ordine, garantito dalla tutela rigorosa  della proprietà privata borghese. Lo Stato napoleonico fu uno Stato laico, fondato sull’uguaglianza di fronte alla legge, su un “contratto sociale” che ha il suo presupposto nell’idea di nazione, in cui i cittadini esprimono la propria volontà attraverso forme di rappresentanza elettiva. Uno Stato che, per garantire il progresso civile e materiale, si dota di una fitta rete di strutture burocratiche e di funzionari, nei settori dell’economia, dell’istruzione, dell’ordine pubblico, del fisco ecc.
Quando le truppe francesi varcarono i confini emiliani a Castel San Giovanni ed entrarono a Piacenza, all’inizio di maggio del 1796, fu subito chiaro che il ruolo della regione nel conflitto in corso sarebbe stato rilevante. Dopo la breve fase della Repubblica cispadana, nel maggio del 1797 Napoleone pose fine all’operazione statale in Emilia, fondendola con la Repubblica cisalpina, che avrebbe avuto per capitale Milano, in uno Stato esteso dalle Alpi all’Adriatico. A novembre la regione fu suddivisa in sette dipartimenti: Crostolo, con capoluogo a Reggio; Panaro, con Modena; Reno, con Bologna; Alta Padusa, con Cento; Lamone, con Faenza; Rubicone, con Rimini; Basso Po, con Ferrara.
Anche la Romagna, estranea fino ai primi mesi del ’97 all’avventura “francese”, vi era stata inserita di forza. Unita Imola fin dal 1° febbraio alla Repubblica bolognese, le truppe francesi prevalsero rapidamente sull’esercito pontificio nella battaglia sul Senio. Faenza, Forlì, Cesena, Rimini, Ravenna furono occupate tra il 3 e il 4 febbraio senza opporre alcuna resistenza, mentre gran parte della popolazione delle campagne abbandonava terrorizzata i propri borghi, cercando rifugio sui monti. Il 19 febbraio, con le truppe francesi scese fino alle Marche e all’Umbria, a Tolentino fu firmato il trattato di pace con Pio VI.
Il territorio romagnolo fu rapidamente organizzato sotto la direzione di un’amministrazione centrale dell’Emilia, alla quale dovevano fare capo tutte le municipalità. Furono aboliti i titoli nobiliari, le livree, gli stemmi gentilizi, furono soppressi i feudi, ridotti di numero i conventi, eliminata qualsiasi giurisdizione privilegiata degli ecclesiastici e ogni loro esenzione fiscale, liberalizzati gli scambi commerciali: anche per la Romagna la nuova dimensione di una società moderna stava prendendo forma. Ciò avvenne però insieme alle consuete requisizioni di guerra e all’imposizione sulle rendite e sui patrimoni dei cittadini, di contributi in denaro e vettovaglie, che danneggiarono l’economia e alimentarono il malcontento, terreno di coltura dell’insorgenza popolare antifrancese, fomentata dalla propaganda ecclesiastica. Si costituirono vere e proprie bande, soprattutto nelle montagne del Cesenate e del Riminese, come pure a Lugo e a Massalombarda. In tutti i casi la repressione fu durissima.
Non pochi furono i motivi di insoddisfazione, particolarmente dopo la partenza di Napoleone per la campagna d’Egitto, nel 1798, a causa delle vessazioni e imposizioni determinate dall’alleanza con la Francia. Numerose furono le esplosioni di malessere sociale, causate, in particolare, dal pesante fiscalismo. Vi furono certamente importanti riforme, come l’eliminazione dei privilegi, l’uguaglianza di fronte alla legge, la libertà di pensiero e di stampa, contraddette però da provvedimenti che limitavano la libera vita associativa.
La vendita dei beni ecclesiastici andò quasi esclusivamente a vantaggio della ex nobiltà e della ricca borghesia, anche grazie ai legami sociali con gli uomini di governo, che spesso permettevano l’acquisto delle terre a basso prezzo e forti dilazioni nei pagamenti. Non fu realizzata alcuna riforma agraria, invece, che andasse a vantaggio della piccola proprietà.
Nella primavera del 1799, le truppe austro-russe, affiancate dalle bande di “insorgenti”, dilagarono vittoriose in regione: il vecchio regime tornò ovunque e le reggenze imperiali tentarono di restaurare l’assetto economico-sociale sconvolto dall’avvento dei francesi. Tuttavia ormai alcuni cambiamenti, come la vendita delle terre, non vennero toccati, per non inimicarsi i ceti sociali più ricchi. Il ritorno di Napoleone, dopo la travolgente campagna del giugno 1800, culminata con la vittoria di Marengo, fu accolto con entusiasmo, poiché esso rappresentava il riaffermarsi di valori ormai collettivamente condivisi (autogoverno, uguaglianza, libertà, democrazia, indipendenza nazionale) anche se nei fatti scarsamente applicati. Gli austriaci, invece, rappresentavano un puro ritorno al passato.
Il 26 gennaio del 1802, a Lione, un’assemblea di rappresentanti italiani votò una nuova costituzione e approvò la nascita della Repubblica italiana, presieduta dallo stesso Napoleone.
Fu avviato in seguito un significativo sforzo per uniformare e omogeneizzare la legislazione e l’amministrazione del territorio (codice civile, penale, di commercio, ecc.), estesi a tutta la società. Il nuovo Stato si avvalse di un esercito nazionale, di una precisa macchina giudiziaria, di un apparato fiscale ordinato e metodico, in grado di garantire il flusso di ricchezza.
La costituzione accentuava ruolo e poteri del potere esecutivo, affidando l’espressione della sovranità nazionale a tre collegi di 700 persone, divise tra possidenti, commercianti e dotti, che esemplificavano la nuova gerarchia di valori fondata sulla ricchezza e sui “lumi”. Figura amministrativa fondamentale divenne quella del prefetto, espressione diretta del potere centrale, con poteri di polizia, di controllo sull’autorità dipartimentale e comunale, di supervisione delle spese e di preparazione dei bilanci. Il territorio regionale fu suddiviso nei dipartimenti del Crostolo, Panaro, Reno, Basso Po e Rubicone, con capoluogo rispettivamente Reggio, Modena, Bologna, Ferrara e Cesena.
Il passaggio dalla Repubblica al Regno d’Italia, nel maggio del 1805, con Napoleone imperatore, non mutò nella sostanza simili linee di sviluppo. Gli aspetti qualificanti dello Stato moderno, di cui si era intrapresa la costruzione, restarono tutti, salvo accentuare i caratteri di rigidità centralizzatrice, di autoritarismo amministrativo, di immobile fissità delle gerarchie sociali fondate sulla ricchezza, formalmente riconosciute da Napoleone con l’istituzione di nuovi ordini nobiliari legati al suo trono. La macchina amministrativa del Regno richiese un apparato vasto di funzionari ed impiegati competenti. Essa però apparve spesso come una cappa soffocante per  i singoli e per le comunità locali. Il blocco continentale e le continue guerre, che significavano nuove tasse, campi di armamenti dislocati lungo l’Emilia, incursioni di nemici, bisogno incessante di soldati, alimentarono il malcontento, la renitenza alla leva, il brigantaggio e l’insorgenza.
Alla fine del 1813, dopo il disastro russo e la sconfitta di Lipsia, riapparvero gli austriaci nel dipartimento del Basso Po e sulle coste romagnole sbarcarono truppe della coalizione antifrancese. Gioacchino Murat, cognato di Napoleone, tentò vanamente di inserirsi nel gioco diplomatico, occupando temporaneamente le maggiori città della regione. Vi tornò nel 1815, nel periodo dei “cento giorni”, tentando una “lotta di liberazione” dell’Italia dallo straniero. Le appassionate parole del proclama di Rimini (“L’ora è venuta che debbono compiersi gli alti destini d’Italia. La provvidenza vi chiama infine ad essere una nazione indipendente. Dall’Alpi allo stretto di Scilla odasi un grido solo: l’indipendenza d’Italia”) erano premature poiché non era ancora sorta una coscienza nazionale. Tuttavia, l’esperienza napoleonica non era passata invano: il ritorno al vecchio regime era ormai un vestito troppo stretto.






Dove mangiare vicino l’Abbazia Madonna del Monte di Cesena

(gli appunti veloci di palatoanarchico PalatoAnarchicoSignorg)

Il Cucinario –  Via Boccaquattro 4, Cesena – fascia di prezzo media -

Il Cucinario è un locale situato nel centro di Cesena, a pochi passi dalla Biblioteca Malatestiana. Anna e il suo staff saranno lieti di preparare per voi piatti a base di carne e di pesce, tipici della tradizione culinaria delle regioni Emilia Romagna e Campania. Grazie alla collaborazione di artisti e artigiani locali il locale ospita per tutto l'anno mostre di opere d'arte e foto, angoli letterari ed esposizioni di manufatti artigianali. Sapori, forme, colori e nuove idee prendono vita al Cucinario.






Osteria – Michiletta - via Strinati 41, Cesena – fascia di prezzo media –

L'Osteria Michiletta, situata nel centro della città tra il Duomo e piazza del Popolo, è un ambiente di una volta, con rustico bancone da osteria all'entrata e salette dall'arredo spartano ma accogliente, dotato anche di un bel giardino all'interno di un piccolo cortile in cui mangiare d'estate. La cucina è regionale, tipica locale, con piatti della tradizione rivisitati con fantasia, utilizzando molte verdure, erbe di stagione e spezie orientali. Il Ristorante Osteria Michiletta di Cesena dispone inoltre di una buona cantina vini con selezione curata delle etichette locali. Complessivamente offre la disponibilità di 80 coperti.

Ristorante Piccolissimo – Corso Ubaldo Comandini 121 – Cesena -


Il ristorante Piccolissimo di Cesena si trova nei pressi di Porta Valzania, in un antico palazzo che una volta era designato a stazione di posta. Piccolissimo non significa che non c'è abbastanza spazio; perché qui non ci si affolla e non si aspetta in piedi che qualcuno finisca di mangiare. Piccolissimo è uno luogo pensato per accogliere e trattenere, non per andar di corsa; come se mangiare non richiedesse il suo giusto tempo, la sua giusta cerimonia di parole e risate, commenti e pause. Il Ristorante Piccolissimo di Cesena è un locale che coccola, intimo, che propone un'ottima cucina mediterranea “rivisitata” attraverso piatti a base di prodotti di alta qualità e di stagione che fanno incontri insoliti e che vale la pena di provare. Ma Piccolissimo propone anche la pizza...e allora, direte voi, è anche pizzeria? Forse, ma a noi piace poter dire che questo è un ristorante dalla cucina di alto livello in cui è possibile degustare anche una buona pizza. Provatelo, vale una deviazione.
L'Antica Abazia del Monte di Cesena - Il Laboratorio di restauro del libro -

Il laboratorio di Restauro del Libro del Monastero di S. Maria del Monte nasce nel 1960 su proposta della Soprintendenza ai Beni Librari e nel corso degli anni ha  collaborato con molte biblioteche e archivi, tra cui:


Ancona: Biblioteca della Soprintendenza delle Antichità delle Marche
Ancona: Biblioteca Comunale “Benincasa”
Assisi: Biblioteca Comunale
Bologna: Biblioteca Universitaria 
Bologna: Biblioteca dell’Archiginnasio 
Bologna: Biblioteca Malatestiana
Fabriano: Biblioteca Comunale
Faenza: Biblioteca Comunale
Fano: Biblioteca Federiciana
Firenze: Biblioteca Nazionale Centrale
Forlì: Biblioteca Comunale “A. Saffi”
Fossombrone: Biblioteca civica Passionei
Imola: Biblioteca Comunale
Jesi: Biblioteca Comunale “Planettiana”
Lugo: Biblioteca Comunale
Macerata: Biblioteca Comunale “Mozzi- Borgetti”
Pennabilli: Biblioteca Capitolare
Pesaro: Biblioteca Oliveriana
Piacenza: Biblioteca Comunale
Pisa: Biblioteca Comunale 
Ravenna: Biblioteca Classense 
Rimini: Biblioteca Gambalunga 
Santarcangelo: Biblioteca Comunale
Savignano: Biblioteca della Rubiconia Accademia dei Filopatridi
Urbania: Biblioteca Capitolare
Urbino: Biblioteca Comunale
Bologna : Archivio di Stato
Bologna: Archivio storico dell’Università di Bologna 
Cosenza: archivio di Stato
Forlì: Archivio di Stato
Padova: Archivio di Stato
Pisa: Archivio di Stato
Rimini: Archivio di Stato
Ravenna: Archivio di Stato
Ravenna: Archivio Arcivescovile e Biblioteca Diocesana.

Numerose sono le opere manoscritte e a stampa restaurate nel corso di questi anni, tra cui ne elenchiamo solo alcune:
Archiginnasio di Bologna: Incunaboli:
I. Poggi, Sigillum; 
Socrates, Orationes;
M. Rossi, De Salutaribus animi…; 
Biblioteca Comunale di Ancona:
Johannis Jansonii, Novus Atlas sive theatrum orbis.., Amsterdam,1646;
Biblioteca Universitaria di Bologna:
Bartolomeo Sacchi, Opera, Venezia, 1511; 
S. Thomae, Opus Aureum, Venezia, 1566; 
Ms. 2270, Areini, Historiae, sec. XV; 
Ms. 2268. Sermoni di S. Bernardo, sec. XIV; 
Ms. 2701. Theophanis fragmentae, sec. XIII; 
Ms. 2861, Segreti per i colori, sec. XV;
Biblioteca Comunale di Faenza:
Ovidio, Metamorfosi, Venezia, 1578; 
Plinio, Historia Mundi, Basilea, 1535; 
Bibbia, Venezia, 1498; 
Dante Alighieri, Divina Commedia, 1515,. Voll. 3.
Biblioteca Comunale di Forlì: incunaboli:
Tartanius, Lectura super secula inforziati..; 
Albertius Magnus, Fisica, Venezia, 1488;
J. Katham, Fascicolus Medica, Venezia, 1500;
Mss., Aierini Pauli, Cronicon, 1464; 
Blondus Flavius, Historiarum ab inclinationes romanorum,  Venezia, 1484; 
Corelli A., Sonata a 3 opera terza, mss. sec. XVII.
Biblioteca  Malatestiana di Cesena:
S. Thomas de Equino, Super Quarto Libro Sententiarum, Venezia,1481;
S. Vincentii Ferrari, Sermonis Dominicalis, Auremberge, 1492,
S. VII.4 . Aristotelis, De Historis Animalium, sec XIII; 
S. XIV. 3. C. Iulii Caesaris, Opera Varia, sec. XV;
S. XXV.1, Acron Aelenius, Commentaria in Horatium, sec. XII; 
D. V. 2. Biblia Sacra, sec. XIV; 
D. XVII. 3. Scotus Joannes, Super sec. et tert. Liber, sec. XV
Giornale: Il Popolano, annate 1901-1923;.
Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze:
F.C. Waldstein, Descriptiones et Icones Plantarum rariorum…, Vienna, 1802;
Vautihier et Lacour, Monumens de sculture anciens…, Paris, 1812;
Jacquin, Ortus Botanicus Vindobonensis, Vienna, 1770-1777, voll.3.
Description de la Mer Mediterranee, Amsterdam, 1599; 
Disciplina e costumi dei Regolari, mss. sec. XIV.
Biblioteca Comunale Planettiana di Jesi: 
Petrarca  F., Epistolae Familiaris, Venezia, 1492.
Historie di Messer Poggio, Venezia, 1476.
Gran Giornale dei Letterati, annate 1704-1706.
Biblioteca Classense di Ravenna:
S. Agostino, De civitate Dei, 1475; 
Diaceptum San Vitalis, mss. sec XIII; 
Ovidio, Metamorfosi, Venezia, 1497; 
Cicerone, Rethoricum et regium, mss., 1469.
Biblioteca Gambalunga di Rimini:
Seneca L. A., Philosophi Opera tribus.., Venezia, 1643;
Petrarca F., L’africa del Petrarca in ottava rima, Venezia, 1570; 
Marinello G., La prima parte delle parole.., Venezia, 1562; 
Terrentius Afer, Comediae sex, Venezia, 1584.


Tra gli ultimi lavori effettuati tra il 2004 e il 2012 si citano: 

Biblioteca Malatestiana (Cesena):
Mauro Guidi, Atlanti, voll.11, 1761-1898.
Archivio storico dell’Università di Bologna:
CS 4608 Diploma in pergamena con sigillo pendulo
CS 4955 Diploma in pergamena
V 638 Diploma in pergamena
CS 4348 diploma in pergamena con sigillo pendulo.
 Biblioteca  e Archivio della Diocesi di Chioggia:
SAV 15 01, Priscianus, Iuliano Consuli ac Patricio Priscianus Salutem[…], Venezia, 1481
SAV 14 02, Mariegola della Santa Croce, 1387-XV sec
SAV 14 06, Mariegola dei Flagellanti della Santissima Trinità, 1528;
SAV 14 01, Libro d’oro della Scola di S. Croce di Chioza, 1699-XVII sec.
SAV 14 03, Corale miniato, XV-XVI sec; 
SAV 14 04, Corale miniato, XV-XVI sec;
SAV 15 04, Svetonius T. G., Svetonius Tranquillus cum Philippi […], Venezia, 1500;
190.317.35, Lexicon Biblicum sascrae philosophiae candidatis […], Coloniae, 1536;
Comune di Gemmano:
Statuti di Gemmano (1612);
Biblioteca dell’Accademia Rubiconia dei Filopatridi di Savignano sul Rubicone:
Inv. 20, Evangelia Secundum Mattheum Lucam[…], ms membr., sec XV; 
Inv. 45, Incipit liber artis omnigenum[…], ms membr., sec. XIV;
Inv. 77, Rituale episcopale di consacrazione di una chiesa, ms membr., sec. XIV. 
CSAC – Centro Studi e Archivio della Comunicazione – Università di Parma
Fondazione Garzanti, Fondo di disegni relativi al progetto dell'Hotel de la Ville di Forlì realizzati dall'architetto Gio Ponti (metà XX secolo)
167 disegni su carta da lucido
23 eliocopie
10 eliocopie in album
1 carta manoscritta
Archivio Diocesano Cesena-Sarsina
A. Peruzzi, Lettera pastorale, Bologna, 1592.
pergamena manoscritta  (1387) lacerto di legatura con iscrizione Istrumenti antichi dal 1403 fino  al 1405.
pergamena manoscritta  (1527) lacerto di legatura.
pergamena manoscritta su ambo le facce.
Sinodo della diocesi di Sarsina, 1380.
Sinodo della diocesi di Sarsina, 1475.
Andrea de Bonetis de Papia, […],Venezia 1486.
9 coperte in pergamena manoscritta tratti dalla Bibbia Ebraica e dal Talmud
2.67, Nicolò da Osimo, Summa Casum Coscientiae, Venezia, 1489
16.131, Alexander de Villa, Mediolani, 1488.
3.92 , Alexander de Ales, Venezia, 1475.
Lucio Apuleio, Bologna, 1500.
13.43, Ricardo de Media Villa, Venezia, 1499.
2 cabrei: 54/A e 54/B
Biblioteca Comunale “Pasquale Rosario”, Ascoli Satriano (FG)
Discorso intorno agli equilibrj di Vincenzo Angiulli…, Napoli, 1770
“La *sfera di M. Giouanni di Sacrobosco tradotta da Pieruincentio Dante de Rinaldi […]”,In Perugia : nella stamperia di Gio. Berardino Rastelli, 1574; Coll: C 1081
“Tabellae nouae decisionum d. Matthaei ab Afflictis[…]”, ... – 1537; Coll: C 1077
“Poemata Francisci Haemi insulari […]”,Antuerpiae : ex officina Christoph. Plantini, 1578; Coll: D 71
“I dieci libri dell'architettura di m. Vitruuio […]”,- In Venetia : appresso Francesco de' Franceschi senese, 1584; Coll: B 1313
Liceo Artistico "P.L. NERVI – G. SEVERINI" – Ravenna
3 disegni su carta da lucido XX secolo.
Ordine della Casa Matha – Ravenna
Mappa “antichi possedimenti della Casa Matha”, cm 253 x 123, XIX sec
Monastero di S. Maria Maddalena - Sant'Agata Feltria (RN)
142 pergamene (anni 1200-1300)
Biblioteca Universitaria - Università degli Studi - San Marino (RSM)
51 P / 64 Y, F. Gesualdo, Plutosofia […], Padua, P. Meietti, 1592.
59 P / 70 Y, G. Grataroli, Opuscola […], ludguni, G. Coterium, 1558.
97 P / 110 Y, R. Lull, Opera ea quae ad adinuentam […], Strassburg, L. Zetzner, 1598
Biblioteca Digitale di Scienze della Salute delle Aziende Sanitarie Ferraresi – Ferrara
“Tassa de’ medicinali semplici, composti e spagirici”, Bologna, 1751.
“Ordini intorno al governo dello Spedale di Sant’Anna (1665) – Ordini e Provisioni (1675)”, Ferrara, 1665-1675.
“Raccolta di medicina e farmaceutica […]”, Venezia, 1538.
Ente morale Museo e Biblioteca Renzi - San Giovanni Galilea - Borghi (FC)
Catasto dell’estimo secc. XVI-XVII
Catasto dell’estimo secc. XVII-XVIII
Censimenti della popolazione di S. G. in Galilea e prov. di Forlì (4 vacchette del XIX sec.)
Biblioteca  Diocesana “E. Biancheri” - Seminario Vescovile – Rimini
C – IV- 47 , Vicariato di Sant’Arcangelo, inventati del capitolo, parrocchie, benefizi, cappellanie et altri luoghi pii,  XVI- 1778
C-I- 3, Visita del Vicariato di San Lorenzo a Monte e Sant’Arcangelo, 1574
C – IV – 44, Inventari della Cattedrale e Parrocchie e benefici della città, mss, 1580-1790
C- II- 26, Visita della Diocesi di Rimino fatta dal Monsignor Illustrissimo Honorati Vescovo di Urbania e visitatore
C-  III- 35, Visita della diocesi di Monsignor Zollio, mss, 1753/54
Biblioteca Diocesana “San Pier Crisologo” - Ravenna
Rerum Italicarum Scriptores […] Ludovicus Antonius Muratorius […] Tomus Primus, Mediolani, ex typographia Societatis palatinae in regia curia, 1723; XXVI, L, 1
Rerum Italicarum Scriptores […] Ludovicus Antonius Muratorius […] Tomi primi pars secunda, Mediolani, ex typographia Societatis palatinae in regia curia, 1725; XXVI, L, 1 (2)
Comune di Longiano, Biblioteca storica comunale “Lelio Pasolini”, Longiano
Adamo Brigidi  “Biografie elogi e cenni storici” 1877, Longiano
Biblioteca Comunale “Vendemini” - Savignano sul Rubicone (FC)
95 manifesti storici