Le Chiese e l’Architettura religiosa
a Forlì
Numerose sono le chiese, sia nel centro cittadino che all'interno del suo comune, che sono scomparse nel corso dei secoli. La scomparsa di tali edifici religiosi ha molteplici motivazioni, le principali rintracciabili nelle devastazioni causate da guerre a seguito delle quali non è stata approntata alcuna riedificazione, nonché nella soppressione di ordini religiosi o nel riutilizzo degli edifici ad uso diverso da quello religioso.
Cattedrale di Santa Croce
Chiesa e Monastero del Corpus Domini, foto di Paolo Monti,
1971. Fondo Paolo Monti, BEIC.
L'abside di Santa Maria in Acquedotto
Abbazia di San Mercuriale: basilica situata in piazza
Aurelio Saffi, per via della sua posizione centrale e dell'alto campanile è
considerata il simbolo della città.
Cattedrale di Santa Croce: è il duomo di Forlì e sede del
vescovo della diocesi di Forlì-Bertinoro.
San Domenico: soppressa per volere di Napoleone nel 1797, la
grande chiesa di San Giacomo Apostolo era il fulcro dei domenicani della città,
che, già a partire dal Trecento, eressero un convento che, dopo secoli di
abbandono, di recente è stato restaurato e ora accoglie mostre ed esposizioni
di livello internazionale. È anche sede della Pinacoteca e dei Musei civici.
San Tommaso di Canterbury: chiesa scomparsa in tempi
antichi, già nei pressi dell'attuale corso Garibaldi. La parrocchia del Duomo
prende il nome di San Tommaso Cantauriense benché la cattedrale sia dedicata
alla Santa Croce.
Basilica di San Pellegrino Laziosi, o Chiesa dell'Ordine dei
Servi di Maria: santuario celebre perché ospita le spoglie mortali di San
Pellegrino Laziosi, santo patrono dei malati di tumore, di AIDS e di malattie
incurabili in genere. È stata insignita del titolo di basilica da Paolo VI.
Chiesa della Santissima Trinità
Chiesa del Carmine: a metà strada di corso Mazzini, fulcro
del Rione San Pietro, è nota per il bel portale in marmo (secolo XV), opera di
Marino Cedrini. Di origine trecentesca, è stata completamente ristrutturata tra
il 1735 e il 1746 su progetto di Giuseppe Merenda.
Chiesa e Monastero del Corpus Domini
Chiesa di San Biagio
Chiesa di S. Antonio Abate in Ravaldino
Chiesa di Sant'Antonio Vecchio
Chiesa di Santa Lucia
Chiesa di Santa Maria della Visitazione
Chiesa di San Filippo Neri
Chiesa del Miracolo o della Madonna del Fuoco
Chiesa di San Michele Arcangelo
Chiesa di San Salvatore in Vico
Chiesina di San Giuseppe dei Falegnami
Chiesa di San Sebastiano
Chiesa di San Francesco Regis
Chiesa dell'Addolorata
Chiesa di San Giorgio in Trentola
Chiesa francescana di Santa Maria del Fiore
Chiesa di Santa Maria della Pianta
Chiesa di San Giuseppe Artigiano
Pieve di Santa Maria in Acquedotto
Chiesa di Santa Maria del Voto
Chiesa di San Giovanni Battista in Vico detta "dei
Cappuccinini"
Chiese scomparse di Forlì.
Abbazia di San Mercuriale
L'abbazia di
San Mercuriale è un'abbazia che si trova in piazza Aurelio Saffi, nel centro di
Forlì. È l'edificio più noto della città e uno dei simboli dell'intera
Emilia-Romagna e ha la dignità di basilica minore.
La
descrizione della storia dell'abbazia risulta difficoltosa in particolar modo
per quanto riguarda il periodo della fondazione e dell'epoca alto medioevale a
causa delle notizie scarse o confuse che caratterizzano questi secoli. Le
notizie frammentarie di questo periodo rendono difficoltosa la ricostruzione
della storia primigenia dell'abbazia, così come difficoltosa e confusa risulta
essere la storia e la figura del santo titolare, avvolta come è da un'aura
leggendaria a cavallo tra periodo antico ed inizio medioevo.
Attualmente
l'abbazia si affaccia sul lato est della piazza ma in origine la chiesa si
trovava al di fuori del nucleo urbano, separata dalla città dal letto del fiume
Rabbi (o da uno dei suoi affluenti o da un canale proveniente da esso e che
attualmente passa sotto il porticato del palazzo comunale).
Fin dai
primi secoli della cristianità, la comunità locale era solita ritrovarsi in
questa zona, tanto che si hanno notizie della presenza di un cimitero ed in
seguito di un luogo di culto. Fu probabilmente dopo l'incendio del 1173,
causato da disordini fra guelfi e ghibellini, che la chiesa fu ricostruita
secondo la struttura planimetrica a 3 navate con cripta sotto l'altare
maggiore.
La presenza
di un edificio religioso nell'area dell'attuale abbazia si può far
verosimilmente risalire all'episcopato di san Mercuriale che guidò la comunità
cristiana forlivese attorno al V secolo. Con probabilità il cristianesimo era
già arrivato in Forlì un secolo prima visto che, con l'editto di Milano del 313,
l'impero romano aveva riconosciuto alla nuova religione importanza e
diffusione, permettendo ai credenti di manifestarla.
Al vescovo
Mercuriale andrebbe il merito di aver guidato la nuova comunità, organizzandola
e rafforzandola coadiuvato, nella sua missione, secondo la tradizione, dai
santi Grato e Marcello. Il santo, secondo l'usanza del cristianesimo dei primi
secoli, si fece seppellire in un sepolcreto posto ad est della città e si può
ipotizzare che anche i successivi vescovi ne abbiano seguito l'esempio, anche
in considerazione del divieto, in vigore fino al V secolo, di inumare i corpi
entro le mura cittadine. Proprio per l'usanza di seppellire i vescovi nelle
cattedrali, alcuni studiosi ritengono possibile che la prima cattedrale di
Forlì sorgesse nel luogo dell'attuale abbazia e che fosse di seguito trasferita
nel centro cittadino nella chiesa di santa Croce. Considerando però che la
chiesa era posta al di fuori del centro cittadino e che per accedervi fosse
necessario oltrepassare la cinta muraria ed il corso del fiume Rabbi,
rendendola perciò difficilmente raggiungibile, molti studiosi sostengono che è
difficile pensare che i vescovi avessero scelto una posizione così disagiata
non solo per se stessi, ma anche per la comunità. È per questa ragione che si
reputa più logico pensare che la cattedra del vescovo avesse sempre avuto sede
nell'attuale Santa Croce, nel centro cittadino, mentre l'attuale abbazia, fuori
dalla città, non era altro che un centro plebano.
Secondo una
tradizione tramandata dal cronista quattrocentesco Leone Cobelli, sul luogo
dell'attuale abbazia sorgeva una chiesa dedicata a santo Stefano, primo martire
della cristianità. Il culto di questo santo ebbe grande diffusione a partire
dal 415 quando a Gerusalemme vennero rinvenute le reliquie. Gli studi odierni
accolgono quanto descritto da Cobelli: la primigenia chiesa fu perciò dedicata
in un primo tempo a Santo Stefano ma, in un periodo non determinato della
storia, fu poi dedicata al culto del santo forlivese.
Bassorilievo
di epoca bizantina rappresentante l'Eucaristia (il pellicano) che nel calice
beve il sangue di Cristo. Croce latina e ruota, simbolo dell'eternità
È possibile
ipotizzare che, a seguito del lungo periodo di incertezze causata dalle
invasioni del V e del VI secolo, una comunità di credenti cominciò a vivere in
una zona esterna alla cinta difensiva della città nei pressi della tomba del
primo vescovo, Mercuriale venendo in seguito a traslare le reliquie del
protovescovo e dei santi Marcello e Grato in un nuovo edificio religioso. A
questo periodo si può far risalire l'intitolazione della chiesa non più a Santo
Stefano ma a San Mercuriale ed in particolare la festa dedicata al patrono, il
30 aprile, potrebbe risalire al giorno della traslazione delle reliquie.
Nell'archivio
storico dei vallombrosani, la più antica testimonianza della chiesa e del
monastero di San Mercuriale risalgono ad un atto dell'8 aprile 894 con il
quale, Domenico, arcivescovo di Ravenna, fece una donazione di alcuni fondi a
Leone, allora abate di San Mercuriale. L'atto dice che l'abbazia sorge non
longe a civitate Liviensi. Difatti l'abbazia era allora al di fuori della
cerchia cittadina ed anche al di là del fiume che lambiva le mura cittadine.
Altri
dettagli relativi a questo periodo possono essere trovate nel Libro Biscia, un
codice che contiene i dati della città dal X fino al XII secolo, nel quale
vengono riportate decine di atti notarili, donazioni, privilegi e transazioni
in cui i monaci sono talvolta concessionari e talvolta concedenti come per
esempio un altro atto del 14 maggio 962 nel quale si stabiliscono alcune
permute di terreni tra l'abate ed il vescovo di Forlì.
Dall'edificazione
della nuova chiesa al rinascimento[modifica | modifica wikitesto]
Nel 1173, a
seguito di scontri tra guelfi e ghibellini, un incendio distrugge numerose
costruzioni danneggiando, oltre che la città, anche l'edificio di culto.
Sull'area della chiesa distrutta viene avviata la riedificazione di una nuova
abbazia, in stile romanico e di dimensioni maggiori rispetto alla precedente e
più elevata, in modo da porre rimedio agli straripamenti causati dal fiume
Rabbi.
Gli scavi
archeologici condotti nel 1951 hanno permesso di ritrovare le fondamenta della
precedente chiesa, rinvenendo l'antica cripta sopra la quale fu riedificata la
cripta romanica. La primitiva chiesa aveva il medesimo orientamento di quella
attuale, anche se posta ad un livello inferiore. I lavori di riedificazione
dovettero finire attorno al 1181 perché, come ricorda un documento di
quell'anno, il vescovo Alessandro poté predicare all'interno della nuova
abbazia.
A seguito
dell'incendio del 1173, la chiesa fu ricostruita in stile romanico padano
articolato in tre navate e tre absidi, un altare centrale che poggiava su una
voluminosa cripta e un protiro che precedeva il portale ed il possente
campanile che ancora oggi svetta. Compare anche l'intitolazione a San
Mercuriale, della quale comunque si hanno le prime notizie già nel IX secolo.
Del protiro, presente in quasi tutte le chiese romaniche di stile lombardo,
rimangono poche tracce nella struttura dell'abbazia. Alcune di queste sono due
mensole in marmo, a forma di goccia, ai lati del portale. All'interno della
chiesa è ospitato il resto di un leone, consunto e deformato dal tempo e dalle
intemperie, che è sempre stato considerato la cariatide che sorreggeva una
delle colonne del protiro. In realtà, è stato recentemente dimostrato che la
scultura è ciò che resta del monumento della crocetta, che sorgeva sul Campo
dell'Abate nel XIII secolo.
La nuova
costruzione testimonia la ricchezza raggiunta dall'abbazia forlivese, in grado
di finanziare un così monumentale edificio, decorato da maestranze famose, come
quelle che scolpirono la lunetta. Tra il X ed il XII secolo infatti il
monastero aveva ricevuto continue donazioni e privilegi che ne avevano
aumentato il potere e lo avevano reso indipendente dall'autorità episcopale e
dalle potenti chiese del ravennate. In particolare le donazioni del vescovo
Alessandro (vescovo di Forlì per 30 anni dal 1160 al 1190) avevano favorito
l'abbazia che a quel punto era diventata proprietaria di fondi e terreni posti
ad est della città fino al confine con la diocesi di Forlimpopoli e la sua
influenza si spingeva fino alla pieve di San Martino in Barisano. Difficile
spiegare per quale motivo il vescovo abbia concesso all'abbazia tali privilegi
che andavano a discapito del proprio potere, ma è possibile pensare che vi
fosse una profonda stima ad unire il vescovo con i benedettini vallombrosani ed
il fatto che l'abbazia fosse passata sotto il loro controllo, portò il vescovo
Alessandro a creare un potente monastero che fosse però legato al potere
episcopale. Ma proprio la grande ricchezza ed il prestigio raggiunto come
l'autonomia conquistata diventarono ben presto causa di dissidi e frizioni fra
l'abate ed i vescovi successori di Alessandro, probabilmente acuiti anche dal
fatto che i due poteri religiosi (quello monastico e quello episcopale)
andavano a contendersi il potere sulla città così come sulle reliquie dei
vescovi.
Nella chiesa,
fino al XVI secolo, erano presenti due altari maggiori: uno superiore, sul
presbiterio, officiato dai monaci, ed uno inferiore, nella cripta, officiato
dal clero regolare.
La chiesa
romanica aveva un presbiterio rialzato ed una cripta semicircolare sottostante
alla quale si accedeva da due scale laterali poste all'altezza della terza
campata. È probabile che la chiesa del XII secolo possedesse un protiro ed una
finestra, sostanzialmente una bifora. Mentre la presenza del protiro è ancora
discussa, la presenza di un'apertura sulla facciata sotto forma di bifora è
testimoniata dal profilo della città che San Mercuriale offre alla Madonna
rappresentata nella cinquecentesca pala d'altare di Baldassarre Carrari: appare
qui chiara la presenza di una bifora al centro della facciata sopra l'ingresso
della chiesa. Lungo i lati esterni dell'edificio si trovavano degli archetti
ciechi in cotto a formare dei semplici ornamenti.
Il complesso
abbaziale non era costituito solo dalla chiesa, ma anche dal monastero con
l'annesso chiostro, dal cimitero e da un ospedale per l'accoglienza dei
pellegrini, i quali dovevano essere numerosi considerata la posizione
privilegiata di passaggio della città lungo la via Emilia, in direzione di Roma
o dei porti meridionali verso la Terra Santa. A dimostrazione di ciò, è ancora
conservato un capitello del XII o XIII secolo che, collocato un tempo nella
cripta, rappresenta San Mercuriale benedicente mentre, sul lato opposto, un
monaco accoglie un pellegrino.
L'aumento
demografico della città attorno al XII secolo, così come l'aumento della
propria importanza politica come centro del ghibellinismo romagnolo, portarono
all'ampliamento della cinta muraria, con l'inglobamento della chiesa nel centro
cittadino almeno dal 1161 e lo spostamento del campo dell'abate all'interno del
nucleo urbano verso il quale furono gradualmente spostate le attività
commerciali. Nel 1212 il Comune richiese all'abbazia la concessione del terreno
per l'istituzione della futura piazza. La chiesa veniva perciò ad assumere un
notevole potere all'interno della città. Essa venne perciò ingrandita
ulteriormente e nel XIV secolo vennero costruite due nuove cappelle laterali
che, collegate da un portico in stile gotico, modificarono l'aspetto originario
delle architetture romaniche.
L'attuale
edificio, in stile romanico lombardo, fu terminato nel 1180 insieme al
campanile di 75,58 metri, che risulta, nel suo genere, uno dei più alti
d'Italia (l'impressione visiva di quest'altezza si coglie anche dalla foto a
fianco). Essendo la Forlì romana situata a occidente rispetto all'attuale
Piazza Saffi, allora chiamata "Campo dell'Abate", la chiesa rimase
fuori dalle mura, appunto fondata e considerata come pieve, fino al XIII
secolo, quando l'ampliamento delle mura la inglobò all'interno del tessuto
urbano. Nei secoli, il "Campo dell'Abate" si trasformò nella
"Piazza Maggiore" e l'abbazia divenne parte dell'attuale centro
storico. Nel XIV secolo il protiro viene sostituito dal portale gotico tuttora
esistente e vengono realizzate le due cappelle laterali di facciata,
estroflesse rispetto alla struttura e demolite nel 1646 (rimangono oggi i due
archi con la monofora centrale). Anche l'abside viene rifatta nel 1585.
Nel XV
secolo viene annesso alla chiesa il chiostro dei vallombrosani, di forma
rettangolare e decorato con slanciate ed eleganti colonne. Alla chiesa, per
fornire maggiore stabilità alla copertura delle navate laterali, venne avviata
la costruzione di un nuovo soffitto con volte a crociera, in sostituzione di
quello medioevale a capriate con travi a vista. Nello stesso periodo la chiesa
andò arricchendosi di numerose cappelle laterali edificate dalle famiglie
nobili di Forlì o da confraternite locali. Tra queste la Cappella del
Santissimo sacramento e la Cappella Ferri
Nel 1505 la
volta del presbiterio rovinò distruggendo la sottostante cripta e seppellendo
le reliquie del santo che vennero ritrovate solo nel 1575 e collocate nella
cappella della famiglia Mercuriali, al termine della navata destra. Nel 1506
perciò si approntarono i cantieri per la ricostruzione dell'intera area
absidale e si decise di non riedificare più la cripta. Ciò è spiegabile con il
fatto che oramai da tempo il protettore e patrono della città era considerato
San Valeriano, le cui reliquie erano conservate nella cattedrale. La scelta di
non riedificare la cripta sarebbe dovuta al fatto che oramai le relazioni tra
abate e vescovo si erano stabilizzate e la riedificazione della cripta avrebbe
potuto riacuire frizioni passate.
Ma il nuovo
impianto dell'altare non soddisfece le esigenze dell'abbazia e nel 1568 si
decise di allungare il corpo della chiesa realizzando un presbiterio di forma
rettangolare, illuminato da 5 finestre. La navata centrale venne allungata di
circa un terzo, sacrificando in via definitiva i resti della cripta. L'incarico
della nuova fabbrica, inizialmente affidato a Jacopo da Faenza, passò nel 1575
a Bastiano di Riccio e a Tommaso da Forlì, mentre il lombardo Zampiero Morelli
completò la volta nel 1586. Il presbiterio venne poi arredato con un coro
ligneo di Alessandro Begni, opera rinascimentale realizzata tra il 1532 ed il
1535. Al pittore Baldassarre Carrari fu commissionata la pala d'altare con
l'Incoronazione della Madonna fra i Santi Benedetto, Mercuriale, Giovanni
Gualberto e Bernardo degli Uberti, realizzato tra il 1509 ed il 1512.
Nel 1581
nell'abbazia fu traslata la reliquia di un dito di san Giovanni Gualberto
proveniente dalla chiesa cittadina di Santa Maria del voto, chiamata dal volgo
dei Romitii. In ricordo dell'evento furono affrescate con le storie della vita
del Santo le trenta lunette collocate sotto i portici del chiostro alla cui
realizzazione collaborarono Livio Modigliani e Andra Baini, interpreti oramai
del manierismo.
Nel 1585 la
navata centrale ebbe una nuova copertura a volta, decorata con tre tele ad olio
del pittore Livio Modigliani una delle quali andata perduta nel corso della
seconda guerra mondiale a seguito dei bombardamenti del 1944.
Negli ultimi
decenni del XVI secolo il chiostro del monastero fu ricostruito in forme
rinascimentali e lungo il lato occidentale del chiostro venne addossato al
campanile un portico a loggia per poter avere nuovi spazi di accesso alla
Biblioteca creata all'interno dell'abbazia grazie ad un lascito di Girolamo
Mercuriale.
Nel 1646
l'abate allora in carica Garei diede avvio a profondi lavori di rifacimento
della basilica, che interessarono sia la facciata che il corpo della chiesa con
l'intento di creare un ambiente interno ben illuminato, in linea con le nuove
regole dell'arte religiosa che si andavano imponendo. Venne rimaneggiata la
facciata, con l'atterramento delle due cappelle sporgenti ai lati del portale
intitolate a San Ludovico (a sinistra) e a San Rocco (a destra) e unite da una
loggia. Al loro posto furono aperte due porte d'ingresso, mentre la facciata
veniva ridisegnata su linee baroccheggianti, coprendo l'originario stile
romanico, ed allargata alle estremità fino a saldarla con la base del
campanile. Oltre alla demolizione delle cappelle laterali, anche il portico trecentesco
di collegamento venne demolito per permettere l'apertura delle due entrate
sulle navate laterali. Ad ornamento della facciata, secondo il gusto
baroccheggiante dell'epoca, vennero alzate delle guglie, pinnacoli e spirali e
volute nelle zone corrispondenti alle navate laterali.
L'ingresso
della basilica venne valorizzato con l'edificazione di un largo sagrato
ottagonale, elevato di tre gradini rispetto al livello della piazza. Nella
facciata, al di sopra del portale, la bifora fu abbattuta e fu aperto un grande
lunettone.
Una serie di
scosse sismiche che si succedettero dal 1653 in avanti, lesionarono in maniera
rilevante diverse porzioni dell'edificio, rendendo necessari alcuni interventi
di restauro.
Nel 1781
vengono approntati lavori di rifacimento della facciata con aggiunte posticce
baroccheggianti.
Nel 1786
l'allora abate Bruno Gnocchi dispose che l'interno fosse rimodernato in stile
neoclassico e che sulla facciata fossero aperte due nuove finestre e che fosse
ridisegnato il lunettone. L'interno fu intonacato ed i capitelli romanici in
mattone e cotto furono rivestiti in gesso diventando dei più semplici capitelli
di ordine toscano.
Nel 1794 i
monaci eliminarono la scalinata costruita nel 1646 e protessero il sagrato con
fittoni e catene. La storia dell'edificio in qualità di abbazia stava volgendo
al termine, infatti nel 1796 le truppe francesi, guidate da Napoleone scesero
in Italia e cominciarono a sciogliere gli ordini ecclesiastici e a requisire i
beni della chiesa. I monaci dell'abbazia di san Mercuriale non ebbero sorte
diversa: furono cacciati e non fecero mai più ritorno. Da allora all'antica
chiesa rimase solo il titolo di parrocchia.
Nel 1902
vengono proposti i primi progetti per il ripristino della facciata, da
riportare alla situazione precedente al 1781. Tali lavori, avviati non senza
polemiche generali, si rendevano necessari, oltre che per la volontà di
ripristinare l'aspetto originario della chiesa, anche per scongiurare pericoli
di crollo dell'abbazia. Solo nel 1904 gli ingegneri Cesari e Pantoli
compilarono il progetto esecutivo relativo ad una proposta che riportasse la
facciata alle più rigorose linee romaniche. Tale proposta prevedeva per la
facciata un rosone o una trifora al posto del lunettone, la sostituzione delle
volute e la modifica dei portali e delle finestre laterali. Le relazioni degli
architetti segnalavano infatti anche il grave stato di degrado della chiesa e
la necessità di imminenti lavori di consolidamento nonché di eliminazione degli
appesantimenti barocchi per restituire un aspetto romanico alla chiesa.
Nel 1915
l'archeologo Gerola studiò il ripristino stilistico dell'abbazia riproponendo
modelli che si basavano sul gusto del romanico lombardo. La facciata doveva
presentare un protiro davanti al portale e al posto del lunettone una grossa
trifora. I primi interventi iniziarono verso il 1916 ma solo nel 1921, in
occasione del sesto centenario della morte di Dante Alighieri, si apprestarono
frettolosi lavori di restauro che portarono alla demolizione delle prime due
cappelle della navata destra. In quell'occasione venne rinvenuta, sulla parete
del campanile, un frammento di affresco del Cinquecento, oggi quasi totalmente
dilavato dalle intemperie. Si intervenne anche sulle linee della facciata,
chiudendo le porte laterali e sostituendo il lunettone tardo barocco con un
rosone centrale in stile romanico che fu preferito all'idea di una trifora o di
una polifora. Fu nuovamente ripristinata la gradinata del sagrato e venne
atterrata la prima cappella di sinistra, sostituita con un ingresso laterale.
Sempre a livello della facciata, venne posta una cornice a dentelli a
coronamento delle navate minori. Per facilitare l'accesso alla basilica si creò
un ingresso sul lato nord, eliminando una cappella di devozione posta all'estremità
della navat sinistra. Il fianco destro della chiesa furono attrerrate due
cappelle per poter liberare il campanile.
Il chiostro,
che oggi al centro conserva ancora un bel pozzo del Seicento, è oggi aperto su
due lati per opera di un intervento condotto tra il 1939 ed 1941 ad opera di
Gustavo Giovannoni il quale intendeva mettere in comunicazione le due piazze,
una antistante (piazza Saffi) e l'altra retrostante (piazza del tribunale) la
chiesa, che era già stata restaurata agli inizi del XX secolo dall'ingegnere
Vincenzo Pantoli, attraverso l'apertura del chiostro.
L'Abbazia di
San Mercuriale gravemente danneggiata da una incursione aerea del 24 agosto
1944. Il bombardamento danneggiò così gravemente le strutture portanti della
chiesa, che fu presa la decisione di demolire le settecentesche volte della
navata centrale
Il 24 agosto
1944, causa un bombardamento alleato, la chiesa rimase gravemente lesionata: la
gravità dei danni fu così imponente che indusse il Genio civile ad ordinare la
demolizione delle volte della navata centrale, realizzate tra cinquecento e
Settecento. Riapparvero le travi lignee del tetto e le aperture laterali
risalenti al XIII secolo.
Dopo i
bombardamenti si rendeva perciò necessario un intervento definitivo che
risolvesse i problemi di staticità della chiesa per ripristinarne la stabilità
e favorirne il consolidamento. I primi sondaggi, sotto la guida del professor
Selli, ebbero luogo nel 1951 e proseguirono fino al 1956 e condussero alla
scoperta della primigenea Pieve protocristiana di Santo Stefano e della
successiva basilica che andò distrutta nell'incendio del 1173. Si decise una
radicale opera di consolidamento che privilegiasse le forme trecentesche,
riconosciute come parti originali della chiesa, a discapito delle strutture
edificate successivamente, come l'impianto neoclassico settecentesco, liberando
mura, capitelli e colonne. Ciò portò a sacrificare molte strutture
dell'abbazia, come 7 cappelle delle navate laterali risalenti al XV secolo.
Venne ripristinata la pavimentazione originaria in cotto e mosaico veneziano e
furono riportati alla luce le basi dei pilastri. Frammenti di capitelli furono
conservati e servirono come base per la costruzione di altri nello stesso
stile. L'abside, edificata nel Cinquecento, fu invece salvata a discapito della
cripta che non venne ricostruita. Di questa furono solo ripristinati i 6 archi
che sorreggevano la volta. Venne inserito, all'altezza della terza campata, un
doppio ordine di archi in mattoni a vista. Posizionati su due ordini sovrapposti,
intendevano rievocare le strutture del presbiterio romanico che, sostituito
dall'attuale nel XVI secolo, aveva la cripta a vista.
Durante i
lavori di ristrutturazione furono rinvenute le fondamenta ed i resti
dell'antica chiesa precedente all'incendio del 1173 a cui seguirono lavori e
studi archeologici.
Dopo la
soppressione degli ordini ecclesiastici avvenuta in epoca napoleonica la chiesa
fu eletta a parrocchia . Nel 1958 papa Giovanni XXIII la elevò alla dignità di
basilica minore.
La chiesa,
in mattoni nel tipico color rosso forlivese, si presenta con la caratteristica
facciata romanica "a capanna", suddivisa in tre parti corrispondenti
alle tre navate interne, con la centrale più ampia rispetto alle laterali. La
navata centrale è rafforzata da due contrafforti delimitanti la rientranza ad
arco che ospita il rosone, la lunetta e il portale marmoreo. I fronti delle
navate laterali sono entrambi occupati da un arco, resto delle antiche cappelle
sporgenti. La facciata e il campanile presentano una decorazione in mattoni:
archetti sorretti da colonnine sul prospetto, risalti verticali e cornicioni
orizzontali sul campanile.
Il chiostro
Per incarico
diretto di Mussolini, che finanziò anche l'opera, l'ingegnere Giovannoni
assunse la direzione della ristrutturazione del complesso di San Mercuriale,
coadiuvato dalla soprintendenza ai monumenti della Romagna. Il chiostro, dopo
secoli di abbandono, si trovava in uno stato di degrado elevato ed i continui
rimaneggiamenti avvenuti nel tempo ne avevano snaturato le linee originali
tanto che numerosi periti e tecnici ne avevano proposto la demolizione. La
demolizione avrebbe consentito l'isolamento del campanile e della chiesa e
permesso un collegamento diretto con la piazzetta retrostante presso la quale sarebbe
sorta da lì a poco il nuovo palazzo di giustizia. Fu però l'ingegnere Gustavo
Giovannoni a trovare la soluzione al problema: demolendo la canonica e aprendo
un portico, si poteva salvare il quattrocentesco chiostro e nel contempo creare
il collegamento con piazza Saffi e la piazzetta retrostante.
Il nuovo
portico e la sovrastante canonica furono costruiti in laterizi e cemento armato
e poggiavano sulle originarie colonne in marmo e muratura. L'esecuzione dei
lavori subì un notevole ritardo dovuto allo scoppio della guerra, che non
permetteva l'approvvigionamento dei materiali, e all'aumento dei prezzi.
Per il
progetto del restauro Giovannoni non adottò, seguendo le indicazioni della
sovrintendenza, soluzioni architettoniche definitive, riservandosi, in corso
d'opera, di confermare le scelte che apparivano più opportune in base alle
rilevazioni archeologiche. Il pozzo centrale, risalente al XVII secolo, dopo il
restauro fu collocato nella posizione originaria.
Gli
affreschi delle lunette, rappresentanti la vita di san Giovanni Gualberto,
fondatore dell'Ordine dei Vallombrosani, furono staccati e trasportati su
centine di legno e lastre di eternit per poter essere restaurati e alla fine
furono ricollocati nella posizione originale.
Il portale
marmoreo
Il portale è
costituito da sottili colonne di marmo chiaro, finemente scolpite, due delle
quali, tortili, non giungono fino a terra ma sono completate, nelle medesime
forme, da laterizio. Le colonne proseguono verso l'alto e circondano la
lunetta, contenente il pregevole complesso scultoreo raffigurante il Sogno e
adorazione dei Magi.
L'attribuzione
dell'opera è sempre rimasta incerta fino a pochi decenni fa, quando fu
finalmente attribuito al Maestro dei Mesi che, a quanto pare, lo scolpì nei
primi anni del Duecento. Il tutto viene letto in due distinte scene: a destra
l'Adorazione e a sinistra il Sogno dei Magi. Nel primo episodio, lo scultore
raffigura i tre re i quali, dopo aver seguito la stella, sono al cospetto della
Madonna, rappresentata come regina, e del Bambino Gesù che siede sulle sue
gambe. Più defilata è invece la figura di Giuseppe, raffigurato quasi come
semplice spettatore della scena. Nel Sogno, i tre Re Magi, dopo aver fatto dono
a Gesù di oro, incenso e mirra, sono colti dallo scultore nel momento in cui
appare loro l'angelo che, come tramandato dal Vangelo secondo Matteo, consiglia
loro di non tornare da Erode.
I battenti
del portale in legno, intagliato e dipinto. Sono entrambi suddivisi in più
riquadri, nei quali sono applicate alcune formelle, una delle quali reca la
data 1651 e che corrisponde, probabilmente, all'anno di realizzazione
dell'opera. La parte superiore è fissa, suddivisa in due sezioni di forma
rettangolare, ognuna contenente piccole cornici nelle quali si distinguono
alcune immagini di santi in rilievo: quello di sinistra, quasi sicuramente,
raffigura San Mercuriale, mentre l'altra immagine sembra rappresentare Santo
Stefano.
Campanile
Il
campanile, in mattoni nel tipico color rosso forlivese, è posto sul lato destro
della chiesa, isolato rispetto alla struttura dell'edificio. La pianta è di
forma quadrata e poggia su cosiddetto dado, una sorta di piedistallo in pietra
sul quale si eleva l'intera struttura del campanile. Il dado, di 9,20 metri di
lato, era un tempo più alto, nel senso che ne era visibile una porzione
maggiore: con il passare dei secoli, però, le varie pavimentazioni della piazza
che si sono succedute hanno contribuito a sotterrarlo parzialmente. La
struttura vera e propria del campanile è impostata sul dado circa quattro
centimetri all'interno del suo perimetro.
Il
campanile, a prima vista, appare essere un parallelepipedo perfetto. In realtà
questo tende a restringersi gradualmente verso la vetta, tanto che a circa 50
metri da terra la sezione ha un lato di 8,45 metri, ovvero 75 centimetri in
meno rispetto alla base. Ciò non è detto che sia stato ottenuto tramite
l'applicazione delle leggi prospettiche, vista l'epoca di costruzione del
campanile, anteriore rispetto alla loro diffusione. È più probabile che il restringimento
della sezione sia forse stato imposto da conoscenze empiriche sul tema,
precedenti al loro reale studio da parte degli artisti rinascimentali, unite al
bisogno strutturale di alleggerire la massa muraria con il procedere
dell'altezza. In sommità svetta un'alta guglia in mattoni, di forma conica, con
coronamento in pietra arricchita inoltre da globo, banderuola e croce, con
altezza totale di 22,40 metri. La guglia, a sua volta, è circondata da quattro
torricini, posti ai vertici del quadrato di base, tema alquanto ricorrente nei
campanili della Romagna. Tali torricini non sono però coevi alla costruzione
del campanile; probabilmente in origine avevano dimensioni e forma diverse, ma
terremoti e fulmini li hanno danneggiati o distrutti. Si può pensare che la
forma attuale dei torricini angolari risalga al grosso restauro del 1566, epoca
alla quale sono anche stilisticamente compatibili (con qualche riserva, però,
sulla loro copertura). In effetti, il Campanile di San Mercuriale, considerato,
all'epoca della sua costruzione, una delle meraviglie del Regno d'Italia, fu
modello per molte altre opere successive, in Romagna e altrove, fino al celebre
Campanile di San Marco, in Venezia.
Durante la
seconda guerra mondiale, il campanile fu minato dai tedeschi in ritirata, ma fu
salvato dal coraggioso ed energico parroco dell'epoca, don Giuseppe Prati,
affettuosamente chiamato dai forlivesi "Don Pippo".
La
misurazione del campanile è sempre stata oggetto di discussione, per via del
fatto che la pavimentazione (punto di riferimento per la misurazione), nelle
diverse epoche storiche, ha subito continue modifiche e rimaneggiamenti.
Attualmente, si è deciso di attribuire al dado un'altezza di un metro, cosicché
l'altezza del campanile risulta precisata a 75,40 metri.[senza fonte]
Interessante,
riguardo al Campanile di San Mercuriale, è il fatto che, a causa delle storiche
somiglianze: "Nel 1902 i genieri veneziani lo usarono come modello per la
ricostruzione del campanile di San Marco, crollato in una nube di polvere il 17
luglio di quell'anno"[8].
Nell'ampia
cella campanaria, trovano posto 5 grosse campane (le 4 maggiori storiche, la
più piccola invece è del 1984), collocate nel castello in ferro realizzato nel
1967, dopo la demolizione del vecchio castello in legno che -ancorato
direttamente ai muri perimetrali anteriore e posteriore, vista la grande massa
delle 4 campane maggiori (la piccola è appunto del 1984)- aveva causato grossi
problemi alla statica della struttura. Per secoli su questo campanile si è suonato
col tradizionale "sistema bolognese", ad opera di sapienti squadre di
campanari che suonavano "a doppio" (portando la campana nella
posizione "in piedi" attraverso la corda, stando a diretto contatto
con la campana), anche "da trave" (cioè stando in piedi sulle travi
del castello, collaborando allo sforzo dei campanari che suonavano usando la
corda, in cella), e suonavano “a scampanio”. Ora, con il nuovo castello, è
possibile suonare manualmente solo "a scampanio" (e "a
distesa", ma questa avviene elettricamente) attraverso l'uso di cordini
collocati in cella; tale suonata necessita di un solo campanaro in luogo di
un'intera squadra. Egli infatti, collegando i cordini attaccati al muro con i
battagli delle campane, può suonarne 4 stando seduto, tenendone 2 con le mani e
2 coi piedi, e suonando le stesse suonate "a doppio", ma a campane
ferme, dovendo ovviamente ricordare a memoria tutte le sequenze dei rintocchi.
La normale suonata “a distesa” invece avviene elettricamente e i motori sono
montati sul castello stesso delle campane.
L'interno
della chiesa ha pianta basilicale a 3 navate divise da pilastri e colonne in
laterizio. Poiché il pavimento della navata centrale è sensibilmente inclinato
in direzione dell'abside, la navata sembra molto più slanciata di quanto in
realtà non sia. Originariamente, davanti all'abside, sorgeva, a circa 5 metri
di altezza, il presbiterio, inclinato invece in direzione opposta.
Navata
destra
Appena
entrati, all'inizio della navata, in prossimità del primo pilastro, è collocata
la vasca battesimale, ora però adibita ad acquasantiera. Scolpita in pietra
locale, risale al XVI secolo. Ha un basamento esagonale in marmo decorato con
foglie di acanto. La vasca è di forma circolare, ben levigata.
A partire
dalla navata destra, per tutta la sua lunghezza e poi sin alla navata sinistra,
si trovano 23 lunette, superstiti di antiche 30, dipinte ad affresco ed un
tempo collocate nel chiostro.
Nella parete
destra, è addossato il monumento funebre dedicato a Barbara Manfredi. Il
monumento fu realizzato fra il 1467 ed il 1468 dallo scultore fiesolano
Francesco di Simone Ferrucci. Dapprima collocato nella chiesa di San Biagio,
quando la chiesa fu distrutta da un bombardamento alleato, il monumento funebre
fu recuperato, insieme ai resti mortali della giovane Barbara Manfredi, e
collocato in San Mercuriale nel 1947.
Verso la
porta che conduce al chiostro, è collocato l'ovale dipinto da Giacomo Zampa.
Nell'ovale è rappresentato San Mercuriale, in vesti bianche con un ricco
piviale rosa e dorato ed una mitra in capo. Il santo è ritratto nell'atto di
benedire un modello della città che un angelo gli sta porgendo.
Segue quindi
la prima cappella, quella definita del Palmezzano. Gli affreschi della cappella
sono i grave stato di deterioramento e ne risulta difficoltosa la descrizione.
Sembrano comunque rappresentare la Resurrezione di Drusiana. Gli affreschi
furono portati alla luce nel 1913. Sull'altare della cappella è posta la pala
opera dello stesso Palmezzano raffigurante la Madonna con Bambino fra i Santi
Giovanni Evangelista e Caterina d'Alessandria e, nelle tavole dei basamenti dei
pilastrini, i santi Paolo, Stefano e Mercuriale. La pala è databile al 1510,
coeva quindi con altre due pale del Palmezzano presenti all'interno della
chiesa.
Al termine
della navata, su un basamento in laterizio, è posta una croce in pietra
decorata con due mani, una per ogni lato della croce. Una mano è aperta mentre
l'altra è in segno benedicente. La croce è difficilmente databile, risalente
comunque all'alto Medioevo. Nell'autunno del 1932 questa croce venne prelevata
dal cimitero parrocchiale di Castiglione e, dopo un passaggio al Museo Civico,
venne collocata, nel 1933, nel piccolo cortile posto a nord dell'abbazia. Nel
dopoguerra fu da lì rimossa e fu trasferita all'interno.
La navata
destra termina con la cappella dedicata al culto di San Mercuriale. In origine
era dedicata ai Santi Simone e Giuda, ma nel XVI secolo il culto fu rivolto a
San Mercuriale.
Navata
centrale
La navata
centrale è coperta da un soffitto a capriate, nei secoli più volte rimaneggiato
e ricostruito, mentre il prolungamento dell'abside presenta una volta a botte.
Nella navata destra è collocata l'acquasantiera che un tempo fungeva da fonte
battesimale. Databile al XVI secolo, è costruita in pietra locale e presenta un
basamento di forma esagonale. Sulle pareti di entrambe le navate sono
distribuite 23 lunette affrescate, provenienti dal chiostro, dal quale furono
trasferite nei lavori della prima metà del Novecento. Le lunette superstiti (originariamente
erano trenta, ma sette sono andate perdute) rappresentano le Scene di vita di
san Giovanni Gualberto, fondatore dei vallombrosani, e sono attribuite a Livio
Modigliani.
Fra le varie
opere d'arte contenute nella chiesa si segnalano:
Il sepolcro
di Barbara Manfredi, moglie di Pino III Ordelaffi, è un'opera del 1466 di
Francesco di Simone Ferrucci da Fiesole, proveniente dalla chiesa di San
Girolamo.
L'arcata
della cappella Ferri fu scolpita in sasso d'Istria (1536) da Jacopo Bianchi da
Dulcigno, elegante opera di ornati e grottesche lombardesche
I dipinti di
Marco Palmezzano, fra cui la Madonna col Bambino in trono fra i santi Giovanni
Evangelista e Caterina d'Alessandria, la tavola con Crocefisso, San Giovanni
Gualberto e la Maddalena, la pala dell'Immacolata col Padre Eterno in gloria e
i santi Anselmo, Agostino e Stefano, uno dei suoi capolavori.
Cappella
Mercuriali e Cappella del Santissimo Sacramento, entrambe impreziosite da
decorazioni barocche: la prima, già completata nel 1606, conserva stucchi e
affreschi di Livio e Gianfrancesco Modigliani, mentre la seconda decorazioni di
Antonio Tempesta). La cappella Mercuriali, inoltre, contiene alcune notevoli
opere pittoriche: una Madonna con Bambino e Santi di Domenico Crespidetto detto
"il Passignano", opere di Ludovico Cardi detto "il Cigoli",
di Baldassarre Carrari e di Santi di Tito in collaborazione col figlio Tiberio
Titi, Francesco Menzocchi.
L'Assunzione
della Vergine di Rutilio Manetti (1571-1639), da Siena, nel presbiterio.
Il Rinascimentale
coro ligneo del XVI secolo, opera di Alessandro Bigni da Bergamo.
Cattedrale
di Santa Croce
La
cattedrale di Santa Croce, è il duomo di Forlì e sede del vescovo della diocesi
di Forlì-Bertinoro. Al suo interno, nella cappella sinistra, si trova la xilografia
della Madonna del Fuoco, patrona della diocesi.
L'attuale
aspetto neoclassico, frutto dei grandi lavori che seguirono l'abbattimento
della primitiva chiesa romanico gotica, le fu conferito dall'architetto Giulio
Zambianchi che completò la nuova fabbrica nel 1841. Della struttura precedente
rimangono la cappella del Santissimo Sacramento nella navata destra e la grande
cappella della Madonna del Fuoco nella navata sinistra realizzata tra il 1614 e
il 1636 sovrastata da una cupola ottagonale affrescata da Carlo Cignani che vi
raffigurò l'Assunzione della Vergine in cielo.
Il cardinale
Fabrizio Paolucci, commissionò a sue spese l'altare maggiore (realizzato a Roma
nel 1718) e la tribuna che racchiude la Madonna del Fuoco. La piccola ancona di
bronzo dorato e lapislazzuli è opera di Giovanni Giardini. L'altare maggiore è
sormontato dal fastigio dello scultore Camillo Rusconi, l'altare invece venne
rifatto nel 1814 su disegno di Luigi Mirri. Fu realizzato per il transetto
della basilica di San Paolo fuori le mura in fase di ricostruzione dopo il
disastroso incendio che l'aveva colpita, ma l'inatteso dono, da parte dello Zar
di Russia, di diversi blocchi di malachite verde, portò alla decisione di
realizzare per quel luogo due altari gemelli ancora oggi ammirabili nella
basilica Ostiense. Il dono al duomo forlivese fu occasionato da un incidente
occorso al Papa stesso che, di passaggio a Forlì, celebrò messa in duomo
sull'altare precedente dotato di una predella lignea che, forse per qualche
tarlo di troppo, cedette sotto il peso dell'augusto ospite che commentò
"divertito": «Vi regalo io l'altare nuovo, così se ripasso da Forlì,
non rischio più la vita celebrando messa».
I due organi
del Settecento sono del celebre organaro veneziano Gaetano Callido.
La cappella
della Madonna del Fuoco
La
cappella-santuario della Madonna del Fuoco fu realizzata negli anni 1619-36
dall'architetto faentino Domenico Paganelli. È coperta da una cupola ottagonale
con alto tamburo che presenta un affresco rifinito a tempera di Carlo Cignani
iniziato forse nel 1686 e terminato nel 1706 che rappresenta l'Assunzione della
Vergine restaurato anche da Pompeo Randi. Nelle nicchie inserite fra le
finestre del tamburo si trova l'affresco dei quattro evangelisti, opera dello
scultore bolognese Giuseppe Mazza. I pennacchi presentano dei putti in stucco
di Filippo Balugani.
Sulla faccia
interna dell'arco d'ingresso si trova Il miracolo della Madonna del Fuoco,
opera di Pompeo Randi. Ai lati si trovano le due cantorie in marmo disegnate da
Gaetano Stegani che nel 1770 circa sostituirono quelle primitive di legno.
L'organo sulla parete destra è opera della bottega veneziana dei Callido. La
tribuna nella quale è conservata la xilografia della Madonna del Fuoco fu
realizzata a spese del cardinale Fabri, che commissionò anche l'altare
maggiore.
Al centro
della cappella si trova la xilografia della Madonna del Fuoco, risalente ai
primi anni del XV secolo.
Cappella del Santissimo Sacramento
La cupola
della cappella del Santissimo Sacramento
La cappella
del Santissimo Sacramento, già santuario della Madonna della Ferita, venne
costruita su progetto di Pace Bombace per volontà di Caterina Sforza nel 1490.
Nel 1941 la cappella fu completamente ridecorata. All'altare maggiore della
cappella si affiancano due altari minori. su quello destro si trova un
frammento dell'affresco La Vergine delle Grazie attribuito a Guglielmo Organi
mentre su quello sinistro si trova il quattrocentesco affresco La Vergine della
Ferita di ignoto autore così chiamato per un colpo di coltello datogli da
barbara mano in faccia.
Cappella del Battistero
La cappella
del Battistero si trova in fondo alla navata destra. Un tempo era decorata dal
ciclo di affreschi di Livio Agresti "Nove Storie eucaristiche e sette
Profeti" che attualmente fanno parte della collezione della Pinacoteca di
Forlì. Verso la fine dell'Ottocento venne completamente rifatta. Attualmente la
cappella conserva un pregevole Battistero esagonale di pietra datato 1504,
opera di Tommaso Fiamberti e del suo collaboratore Giovanni Ricci. La base e la
cornice superiore sono opera di Giacomo Bianchi da Dulcigno. Le sue sei facce
presentano altrettanti bassorilievi quali "San Mercuriale col Drago",
"San Giovanni Battista", "San Valeriano", "Il
Battesimo di Cristo", "Sant'Elena e San Girolamo" e "La
Decollazione del Battista".
Il Crocifisso della Cattedrale
È
un'immagine dal valore storico che lo pone ai vertici del suo genere in Italia.
Lo si riferisce al XII secolo. La croce, semplice e nera, presenta tracce di
decorazione policroma ed escrescenze che suggeriscono una cornice gemmata.
Sopra il capo del Cristo sono incise due frasi che sembrano appartenere alla
stessa mano ed hanno stessa iscrizione latina: "Rex iudeorum" (Re dei
giudei). Quella posta più in alto, è di scrittura semplice e potrebbe sembrare
goticheggiante. Quella sotto, su due righe, forse la più antica, presenta la
stessa iscrizione con caratteri incerti tra il greco e il latino. Il Cristo
poggia i piedi, su di un suppedaneo costruito su delle foglie, come a
richiamare l'albero della vita. Il corpo è appeso alla croce con tenue
realismo; non sformato, non insanguinato (nulla fuoriesce dalla ferita dei
chiodi e del costato). Il volto è eretto, solenne, tranquillo e maestoso; la
barba, i baffi ed i capelli sono ben ordinati, gli occhi sono chiusi. Sul capo
non vi è la corona di spine, ma una corona regale rossastra. Un drappo porpora
punteggiato da piccoli gigli d'oro, gli circonda i fianchi.
Altre chiese di Forlì
Cattedrale
di Santa Croce
Chiesa e
Monastero del Corpus Domini, foto di Paolo Monti, 1971. Fondo Paolo Monti,
BEIC.
L'abside di
Santa Maria in Acquedotto
Abbazia di
San Mercuriale: basilica situata in piazza Aurelio Saffi, per via della sua
posizione centrale e dell'alto campanile è considerata il simbolo della città.
Cattedrale
di Santa Croce: è il duomo di Forlì e sede del vescovo della diocesi di
Forlì-Bertinoro.
San
Domenico: soppressa per volere di Napoleone nel 1797, la grande chiesa di San
Giacomo Apostolo era il fulcro dei domenicani della città, che, già a partire
dal Trecento, eressero un convento che, dopo secoli di abbandono, di recente è
stato restaurato e ora accoglie mostre ed esposizioni di livello
internazionale. È anche sede della Pinacoteca e dei Musei civici.
San Tommaso
di Canterbury: chiesa scomparsa in tempi antichi, già nei pressi dell'attuale
corso Garibaldi. La parrocchia del Duomo prende il nome di San Tommaso
Cantauriense benché la cattedrale sia dedicata alla Santa Croce.
Basilica di
San Pellegrino Laziosi, o Chiesa dell'Ordine dei Servi di Maria: santuario
celebre perché ospita le spoglie mortali di San Pellegrino Laziosi, santo
patrono dei malati di tumore, di AIDS e di malattie incurabili in genere. È
stata insignita del titolo di basilica da Paolo VI.
Chiesa della
Santissima Trinità
Chiesa del
Carmine: a metà strada di corso Mazzini, fulcro del Rione San Pietro, è nota
per il bel portale in marmo (secolo XV), opera di Marino Cedrini. Di origine
trecentesca, è stata completamente ristrutturata tra il 1735 e il 1746 su
progetto di Giuseppe Merenda.
Chiesa e
Monastero del Corpus Domini
Chiesa di
San Biagio
Chiesa di S.
Antonio Abate in Ravaldino
Chiesa di
Sant'Antonio Vecchio
Chiesa di
Santa Lucia
Chiesa di
Santa Maria della Visitazione
Chiesa di
San Filippo Neri
Chiesa del
Miracolo o della Madonna del Fuoco
Chiesa di
San Michele Arcangelo
Chiesa di
San Salvatore in Vico
Chiesina di
San Giuseppe dei Falegnami
Chiesa di
San Sebastiano
Chiesa di
San Francesco Regis
Chiesa
dell'Addolorata
Chiesa di
San Giorgio in Trentola
Chiesa
francescana di Santa Maria del Fiore
Chiesa di
Santa Maria della Pianta
Chiesa di
San Giuseppe Artigiano
Pieve di
Santa Maria in Acquedotto
Chiesa di
Santa Maria del Voto
Chiesa di
San Giovanni Battista in Vico detta "dei Cappuccinini"
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